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Carla Malerba è nata in Africa, per la precisione in Libia, terra che ha lasciato nel 1970 per venire a vivere in Italia. Questa breve premessa è d’obbligo perché è inevitabile che resista sempre un particolare legame affettivo con il luogo in cui si è nati e si è vissuta la propria giovinezza. Così ricorre ogni tanto la nostalgia, giacché il ricordo, per quanto sopito, è sempre presente. Al riguardo c’è chi si esprime narrando del suo trascorso laddove è nato e c’è invece chi in poesia parla di questa sua particolare situazione, cioè di una persona che ha trovato una nuova patria, in cui pure sta bene, ma che ha ancora affondate le radici in quella da cui è venuta. In quest’ottica è nata questa raccolta, opportunamente intitolata “Di terre straniere”, con l’evidente intento di esprimere il concetto di questa particolare condizione e di trasporre in versi la memoria. Più chiaramente il ricordo della terra natia è richiamato con forza nei versi contenuti in Lungomare di Oea, con la descrizione della parte più antica di Tripoli e nel leggerla mi piace cogliere quella che è l’immagine memorizzata dalla poetessa, una visione che, come sempre, non è perfettamente nitida, anzi spesso e volentieri finisce con l’essere l’interpretazione di un’emozione, come in questo caso (con felice scelta, viene scritto che il vento gonfia vele di pietra, cioè affonda la sua forza nei muri delle case). Comunque, se voleva spiegare ciò che prova con il ricordo, credo ci sia riuscita benissimo. E ancor meglio ha fatto con Altra vita, una lirica che definirei ungarettiana perché riesce bene a esprimere quella sensazione di straniamento che coglie chi, come Carla Malerba, ha vissuto in parte (la parte più importante della vita, cioè la giovinezza) in un paese, per trasferirsi poi in un altro. Le scelte lessicali sono veramente azzeccate e la chiusa sintetizza in modo splendido il contenuto di una poesia che già da sola dà lustro all’intera raccolta.
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