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Diario 1941-1943 - Etty Hillesum - copertina
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Diario 1941-1943 - Etty Hillesum - copertina

Descrizione


Un "cuore pensante" testimonia la propria fine in un campo di concentramento. Accanto al Diario di Anna Frank, uno dei documenti indispensabili sulla persecuzione degli ebrei. "Se Etty insiste a ripeterci che tutto è bello, è perché un'ebraica volontà di vivere fino in fondo vuole questo in lei. Un rivestimento ideale, poetico, ricopre in lei la solida, l'irriducibile, l'intima forza ebraica" (Sergio Quinzio).
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Dettagli

12
1996
Tascabile
17 aprile 1996
260 p., Brossura
9788845912061

Valutazioni e recensioni

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GD
Recensioni: 5/5

La sequenza di pensieri che si sviluppa in questo diario è assolutamente unica e brillante, io non ho parole sufficienti per dire quanto possa essere importante per la crescita di ognuno di noi. Il vero crimine di chi ha deciso che la vita di ognuno non valesse nulla, e anzi anche meno di nulla, è quello di aver interrotto questo splendido rivelarsi ed affermare; il crimine contro l'umanità intera è anche l'averci privato di pensieri e rivelazioni ulteriori. Infine: una ragione in forza della quale il diario si sia salvato e sia giunto fino a noi deve esistere. Io credo che questa ragione sia stata descritta in modo definitivo da Rimbaud.

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Nellaseradamorediviola
Recensioni: 5/5
Viaggio all'interno di un'anima

Mentre Anna Frank stava scrivendo il suo diario, contemporaneamente una donna di 28 anni di nome Etty Hillesum stava mettendo a nudo la sua anima prima che fosse portata via e messa a morire in un campo di concentramento. I Diari di Etty sono un continuo inno alla vita nonostante fuori il mondo stesse marcendo. Era capace di scorgere la Bellezza ovunque e accetterà di buon grado il suo destino perché sa di avere sempre Dio lì con lei.

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Francesca
Recensioni: 3/5
Non male

Devo essere sincera ho finito di leggere questo libro a fatica a tratti mi ha messo anche sonnolenza, l'ho trovato interessante soltanto in due punti all'inizio e alla fine con le lettere scritte per gli amici. Il fatto che lei accettasse questa disumanitá con accettazione e felicità mi è sembrato quasi una cosa sovrannaturale e a tratti ho provato persino rabbia ovviamente per quello che è stato fatto a moltissima gente. Non è uno dei migliori libri che ho letto, a mio parere personale non lo rileggerei, a tratti pesante ma comunque discreto. Riposa in pace Etty🫶

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Voce della critica


(scheda pubblicata per l'edizione del 1985)
scheda di Rastello, L., L'Indice 1986, n. 1

Una giovane donna olandese affida, nel 1941, ad un diario la cronaca della sua complessa vicenda interiore. Mentre tutta l'Europa vive il dramma della persecuzione e delle deportazioni di massa, Etty Hillesum, ebrea e destinata a trovare la morte ad Auschwitz, narra con lucidità la sua avventura di liberazione spirituale e la conquista, attraverso le strettoie dell'occupazione nazista di una felicità che, ben lungi dal costituire una fuga dall'epoca, si traduce in arricchimento e forza vitale. Ai divieti imposti alla sua gente Etty risponde con una crescita incontenibile, in grado di dar forza e fiducia a chi le vive accanto; nelle sue pagine capaci di allegria, che nulla nascondono o addolciscono dell'orrore di quei giorni, la guerra e la storia esteriore affiorano gradualmente in funzione della tensione introspettiva, fino ad assumere un ruolo centrale come testimoni di riflesso della battaglia vittoriosa condotta da Etty Hillesum contro le loro forze. Nel diario è anche la storia della creazione di un'opera d'arte - che non nascerà - di cui l'autrice, conscia del suo talento, si sa capace ed a cui si prepara rigorosamente ponendo attenzione ad ogni brano della vita sua ed altrui e indagando la sostanza e le possibilità della scrittura. Il libro tradotto con enorme successo in tutto il mondo, sta diventando per molti un oggetto di culto a scapito, forse, della sua peculiarità e del suo vigore letterario.


(recensione pubblicata per l'edizione del 1985)
recensione di Gentiloni, F., L'Indice 1986, n. 6

"A volte vorrei rifugiarmi con tutto quello che ho dentro in un paio di parole. Ma non esistono ancora parole che mi vogliano ospitare. È proprio così. Io sto cercando un tetto che mi ripari ma dovrò costruirmi una casa, pietra su pietra. E così ognuno crea una casa, un rifugio per sé. E io mi cerco sempre un paio di parole" (pag. 67). Le ha trovate, Etty Hillesum, le parole che cercava, e per nostra fortuna ce le ha lasciate in un "Diario" che resta uno dei documenti più elevati di questo nostro secolo, stupendo e disgraziato. Donna. Amante. Ebrea. Intellettuale. Condannata a morte. Mistica. Altruista. È difficile, fra tutti questi attributi stabilire una graduatoria: sono tutti specificamente e originalissimamente suoi.
Olandese di Amsterdam. Nata nel 1914, famiglia di media borghesia intellettuale. Comincia a scrivere il diario a 27 anni, nel marzo del 1941, quando i tedeschi già occupano l'Olanda. Nell'agosto del 1942 viene deportata nel campo di Westerbork (di smistamento, non di sterminio) dove rimane, lavorando all'ospedale e quindi con una certa libertà di movimento, fino al settembre 1943. Poi Auschwitz, dove viene ammazzata, sembra il 30 novembre 1943. Dal vagone piombato era riuscita a gettare una cartolina, raccolta e spedita da un contadino: "Abbiamo lasciato il campo cantando".
Il diario Etty l'aveva lasciato ad un amico scrittore che, anche se sembra impossibile, per 38 anni non era riuscito a trovare un editore. Finalmente, nell'81, la prima edizione olandese, accompagnata da alcune lettere di Etty da Westerbork: subito 150.000 copie e ora le traduzioni in tutto il mondo.
"Io noto che alla mia sofferenza personale si accompagna sempre una curiosità oggettiva, un interesse appassionato per tutto ciò che riguarda questo mondo, i suoi uomini, i moti della mia anima" (p. 57). Un occhio a se stessa e uno agli altri, lungo tutte le pagine del diario, e sullo sfondo, sempre più presente ma sempre tenuto a bada da un mirabile equilibrio, il forno crematorio. Fra gli altri, molti e guardati con un'attenzione continuamente rinnovata, ne spiccano due, il cui predominio sdoppia idealmente il diario in due parti: S. e Dio. Mai in contrasto, in dolce compagnia, mentre S. non scompare mai (anche se muore nel 1942) ma lascia discretamente il posto.
S. (Julius Spier) doveva avere un fascino incredibile: Etty lo subisce, vive con lui quei due lunghi terribili anni, soffre perché non sembra ottenere l'esclusiva di un uomo eccezionale anche nella professione: faceva lo psicochirologo, e da lui Etty deve avere imparato quella particolare attenzione non soltanto alla voce delle mani ma a tutti i dettagli del corpo. Mai "storia di un'anima" è stata altrettanto ricolma di corpo! Si vedano certi dettagli dei loro incontri di amore, anche se, ovviamente, la morte bussa alla porta.
Due percorsi si intrecciano nel diario di Etty, fino quasi a confondersi in uno: quello da S. a Dio e quello dalla vita alla morte. Ma Dio non elimina n‚ schiaccia S., come la morte che incombe ogni giorno di più non schiaccia n‚ soffoca la vita. "Ho guardato in faccia la nostra misera fine, che è già cominciata nei piccoli fatti quotidiani; e la coscienza di questa possibilità fa ormai parte del mio modo di sentire la vita, senza fiaccarlo. Non sono amareggiata o in rivolta, non sono neppure più scoraggiata o tanto meno rassegnata. Continuo indisturbata a crescere, di giorno in giorno, pur avendo quella possibilità dinanzi agli occhi" (p. 140). La morte cresce con lei e in lei "di giorno in giorno", senza soffocare piccole gioie e speranze, anzi valorizzandole come valorizza il suo impegno per gli altri.
Il diario di Etty è talmente pieno di piccole cose vissute con grande impegno che il lettore rischia di dimenticarsi come vada a finire. Acqua fredda o calda per lavarsi al mattino colazione; cioccolato; golfini a uncinetto; crochi, tulipani, campanule; vesciche ai piedi; l'attenzione divertita alle espressioni degli altri non la lascia neppure durante gli interrogatori della Gestapo. Tornata con un permesso da Westerbork annota: "Le mie rose rosse e gialle si sono completamente schiuse. Mentre ero là, in quell'inferno, hanno continuato silenziosamente a fiorire. Molti mi dicono: come puoi pensare ancora ai fiori di questi tempi?" Glielo chiediamo anche noi.
La risposta, nel diario, si può trovare in due direzioni, Dio e gli altri. La seconda direzione mi sembra più vera. Di Dio è piena tutta l'ultima parte, ma non è un Dio che consola. Profondamente ebrea, anche se non osservante, non è Etty ad aver bisogno di Dio: è il suo Dio, il Dio che consente Auschwitz e che le ha tolto S., ad avere bisogno di lei. Non Dio salva Giobbe, ma Giobbe Dio.
"Dobbiamo abbandonare le nostre preoccupazioni, per pensare agli altri" (p. 155): questo è il suo segreto. Al campo, la sua principale attenzione è per "le ragazzine di sedici anni" (p. 160). Ci viene in mente Anna Frank, strappata nell'agosto del '44 dal suo alloggio segreto e trasportata a Westerbork, prima di venire ammazzata a Bergen Belsen.
Altro riferimento quasi obbligato per chi legge il diario di Etty sono i "Quaderni" di Simone Weil: stesso amore alla vita, stesso esilio continuo fra la casa ebraica e quella cristiana, stessa attenzione per tutto e tutti. Ma Etty resta molto più ebraica, mentre non spazia, come Simone, nel panorama della grande cultura greca, orientale, e nostra. Si porta sempre con sé, anche nella baracca di Westerbork e, chissà, forse anche nell'ultimo viaggio, la Bibbia con dentro la foto di S. e l'amatissimo e citatissimo Rilke.
Da Westerbork, in una delle ultime lettere, Etty scrive ad un amico: "La miseria che c'è qui è veramente terribile - eppure alla sera tardi quando il giorno si è inabissato dietro di noi, mi capita spesso di camminare di buon passo lungo il filo spinato, e allora dal mio cuore s'innalza sempre una voce - non ci posso far niente, è così, è di una forza elementare - , e questa voce dice: la vita è una cosa splendida e grande, più tardi dovremo costruire un mondo completamente nuovo. A ogni nuovo crimine o orrore dovremo opporre un nuovo pezzetto di amore e di bontà che avremo conquistato in noi stessi. Possiamo soffrire ma non dobbiamo soccombere. E se sopravvivremo intatti a questo tempo, corpo e anima ma soprattutto anima, senza amarezza, senza odio, allora avremo anche il diritto di dire la nostra parola a guerra finita. Forse io sono una donna ambiziosa: vorrei dire anch'io una piccola parolina" (p. 245).

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Etty Hillesum

1914, Middelburg

Etty Hillesum è stata una scrittrice olandese ebrea vittima dell'Olocausto. Il padre insegnava lingue classiche; la madre, russa, arrivò ad Amsterdam in seguito a un pogrom. La coppia si sposò nel 1912 ed ebbe, oltre a Etty, due figli maschi: Michael e Jacob. La famiglia seguì gli spostamenti del padre. Etty si laureò in giurisprudenza all'Università di Amsterdam, l'ultima città dove avrebbe abitato. Si iscrisse anche alla facoltà di Lingue Slave e all'inizio della guerra si interessò alla psicologia junghiana. I suoi studi furono interrotti a causa dalla guerra.Intelligenza precoce e brillante. Nel 1942, lavorando come dattilografa presso una sezione del Consiglio Ebraico, le si offrì anche l'opportunità di salvarsi...

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