Essere parte di qualcosa di più grande Le "note" di lavoro, inedite, vergate da Emilio Sereni in tempi diversi, custodite prima da Vanna Gentili poi da Silvana Pecorari e pubblicate ora in forma di diario, rappresentano un interessante contributo storico, eterodosso rispetto ai tradizionali diari che caratterizzano la storiografia italiana. Come sottolinea nella stessa introduzione il curatore Giorgio Vecchio, è, infatti, oltre che un diario politico, un racconto intimo, personale, frutto di una continua introspezione, che sembra rimandare più alla scrittura realizzata secondo il flusso di coscienza dell'
Ulisse di Joyce, piuttosto che alla classica cronaca giornaliera dei fatti accaduti nella vita di un personaggio pubblico. Queste note coprono gli anni che vanno dal 1946 al 1952, con un appendice del 1959. Seppur con qualche frammentarietà, nondimeno il diario contribuisce a lumeggiare aspetti politici molto significativi, sia per ricostruire la storia del singolo, Emilio Sereni, sia per comprendere meglio la storia del comunismo italiano dentro la storia del Novecento. Dal punto di vista politico, alcuni temi appaiono particolarmente rilevanti: la visione fortemente organizzativa che Sereni aveva del suo lavoro ministeriale nel 1946-47 e l'impostazione laica e pubblica che egli diede al tema dell'assistenza, sottraendolo alle influenze terze, come quelle della chiesa cattolica e del Vaticano; i caratteri e la profondità del conseguente dissidio politico con Alcide De Gasperi, emblematico del difficile stato dei rapporti tra Dc e Pci durante la cosiddetta fase della "coabitazione" al governo (1944-1947); l'attenzione rivolta da Sereni al New Deal rooseveltiano e la sua capacità di conquistare la fiducia degli americani dell'Unrra; la sua profonda fiducia nell'Urss e nella spinta rivoluzionaria e progressista delle masse verso il socialismo; le relazioni di lavoro con altri esponenti del Pci, dal segretario Palmiro Togliatti a Giorgio Amendola, Giorgio Napolitano, Giuseppe Longo e molti altri ancora. Una chiave riassuntiva di molte delle questioni ricordate, può essere il tentativo di sviluppare negli anni immediatamente successivi alla guerra una cultura di governo. Più volte il Sereni ministro distingue in queste pagine, tra il 1946 e il 1947, tra fase rivoluzionaria e di ricostruzione. È lo stesso Sereni a evidenziare l'utilità di un approccio graduale nella gestione delle leve ministeriali, volto a elaborare tecnicamente un piano di interventi, ispirato al New Deal e al Piano Beveridge, ma soprattutto a cercarne il punto di realizzazione pratica, alla luce di un antifascismo che insieme al tecnicismo forniscano le basi per avviare concretamente alcune riforme, in primis la riforma agraria, con la valorizzazione dell'Opera nazionale combattenti. Rispetto al Sereni responsabile della commissione cultura del Pci negli anni cinquanta, le pagine dedicate al ruolo svolto prima come Ministro per l'assistenza post-bellica pubblica, poi il breve interludio ai Lavori pubblici, per il grado di riformismo pragmatico, intriso di ragionevolezza, di dati, di lavoro burocratico, di ricerca della discontinuità ministeriale ragionando sulle inevitabili continuità con il passato, colpiscono indubbiamente il lettore. È con quell'approccio che Sereni superò anche le prime diffidenze nutrite verso i comunisti negli organismi deputati agli aiuti internazionali, gestiti in primo luogo dagli americani, e che si confrontò duramente con il Vaticano. Quella sua esperienza governativa verrà definita "uno dei periodi di attività più intensa e (penso) anche più produttiva della mia vita". Pur immergendosi in quel lavoro con grande passione, e pur conferendogli un elevato valore di principio per dirigenti e militanti del Pci, egli fu tra coloro che all'inizio del 1947 riflettè a più riprese criticamente sui limiti entro cui il partito veniva a essere posto dal faticoso compromesso ogni volta ricercato con la Dc. La riflessione sui limiti dell'azione governativa e della prospettiva rivoluzionaria appare quanto mai significativa. Governare con la Dc, interagire con poteri forti come il Vaticano e gli alleati americani, in un contesto di strisciante crisi economica, voleva dire sempre più, secondo l'analisi di Sereni, rischiare di pregiudicare la relazione del Pci con la propria base popolare. Forzare quei limiti, d'altronde, poteva indebolire il nuovo assetto repubblicano, facilitando l'aggregazione della Dc con le forze della destra conservatrice o addirittura reazionaria. Una prospettiva, quest'ultima, che avrebbe addirittura potuto portare il Pci a dover rispondere militarmente in difesa della repubblica. Tra questi due estremi, all'inizio del 1947, quindi prima di essere esclusi dal governo da De Gasperi, Sereni si volse verso la prospettiva dell'opposizione, abbandonando l'opzione caldeggiata in precedenza. Al primo gennaio annotò: "Ancora pochi mesi fa, io mi espressi per la partecipazione (al governo): oggi di fronte alla crisi che si aprirà al ritorno di De Gasperi dall'America penso si debba prendere un atteggiamento molto più reciso, accettando la partecipazione solo a condizioni molto precise". E ancora, indicando nei contadini, in particolare meridionali, una nuova prospettiva di lavoro, dal basso, riassunse la nuova prospettiva entro cui intendeva calarsi: "Io non sono pessimista, in complesso (
) Se lavoriamo bene, se sapremo accentuare la capacità d'urto del Partito, senza cadere nel sinistrismo infantile e irresponsabile, potremo anche fare dei passi avanti, superare certi limiti. Mi pare che in questo senso nel Mezzogiorno, e in genere nelle campagne, la situazione sia più favorevole che nelle città per un passo in avanti. Per questo dò grande importanza al nostro progetto di riforma agraria; e per questo, anche, vorrei piantarla con il lavoro governativo, e andare a lavorare nelle campagne del Mezzogiorno. Il problema è: trovare le nuove forme organizzative e di lavoro che ci permettano di superare i limiti". La critica rivolta alla partecipazione governativa e alle "illusioni costituzionali", trovò rispondenza nelle manovre anticomuniste della Dc e un perfetto
pendant nell'istituzione sovietica del Cominform, nel settembre del 1947. Essere comunisti significò sviluppare quanto più possibile l'identificazione tra la vita personale e quella di partito, riconoscendo all'Urss "un'enorme funzione nel senso della direzione ideologico-culturale. Riuscire a far sentire questa funzione appuntò nel marzo 1949 è diventato per me un compito essenziale: la mia passione personale, direi, il mio 'Pallino', pensano forse alcuni compagni". Il tratto caratterizzante la vasta azione sviluppata da Sereni, col sostegno attivo di Togliatti e sotto l'egida del Cominform, da quel momento in poi, dall'impegno nella commissione culturale, al movimento dei Partigiani della pace, alle diverse iniziative realizzate nel Mezzogiorno, è il suo carattere totale, unificante e identitario. Inframmezzate a valutazioni e notizie a carattere politico, le pagine introspettive di quel periodo della sua vita sono numerose, dense e originali. La soggettività di Sereni compare nella sua problematicità, intrecciatasi alla dimensione pubblica del personaggio, nelle fasi iniziali della guerra fredda. I viaggi internazionali, in Francia, in Unione Sovietica e in Polonia, sono occasioni per riflettere sul comunismo nel mondo, sulla specificità della situazione italiana all'interno del mondo occidentale, ma anche e forse soprattutto su stessi. Sereni si sente sempre più parte di una massa di cui interpreta la coscienza e i bisogni profondi, con un approccio di tipo appunto totalizzante, nel quale il singolo ha significato in quanto parte di qualcosa di più grande, di un "noi". Questo senso della collettività, che abbraccia i popoli al di là delle diverse coniugazioni e situazioni nazionali, è parte profonda delle sue "confessioni" e del suo impegno, nel partito, al centro come in periferia.
In questo carattere totalizzante, risiede anche la costante attività di Sereni nel conoscere lingue, fatti e persone, nello studio come nell'azione, nella vita pubblica come in quella privata, in politica come in amore. La politica è, allo stesso tempo, conoscenza e lotta, continuamente intese e coniugate per spostare limiti e relazioni, per immaginare nuovi equilibri, bruciando posizioni pregresse e superare tradizioni. Le relazioni d'amore sono, nello stesso senso, soddisfacimento di piaceri individuali ma anche perenne ricerca del sé, di un senso profondo di relazioni che sono parte di una vita complessa, problematica, che può anche finire di fronte a un obbiettivo più alto. Un insieme di valori definibili come parte di quella modernità comunista, ancora oggi oggetto di discussione, sentita e propagandata in opposizione alla modernità capitalistica, nonché alternativa ai valori cosiddetti borghesi e/o cattolici della famiglia tradizionale, parte integrante della nostra storia nazionale.
Emanuele Bernardi