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Una lettura affascinante e inquietante al tempo stesso. Come spesso succede quando uno scrittore ci porta lontano dal nostro Paese, dalla nostra cultura, dal nostro modo di vedere il mondo. Con la lettura di questo romanzo ho fatto un'esperienza particolare: pagina dopo pagina mi pareva di arrivare a conoscere a fondo i personaggi e, invece, più di una volta, ho dovuto ricredermi di fronte a nuova "piccola cosa" che li rendeva diversi, magari di poco, ma diversi. Un libro che richiede tempo e tranquillità.
La trama del libro in sé ti incuriosisce: narra in 300 pagine una vita intensa di ingiustizie di una madre indiana e i suoi due figli, però descritta dal punto di vista dei due bambini che aggrappandosi alle piccole cose e all'amore superano la malvagità dell'uomo. La narrazione è alternata spesso tra presente e passato al tal punto da far perdere il filo della narrazione. Inoltre sono narrate alcuni episodi che non c'entrano nulla con la storia e sono solo di contorno. Più vuoi scoprire il nocciolo della storia più si allontana dal fulcro aggiungendo parti superflue. Non si può sottovalutare comunque l'insieme di emozioni che ti trasmette l'ultima parte del libro. Solo una volta che il quadro è completo,le vicende assumono consistenza e quando hai finito il libro, è inevitabile non rimanere 'scossi' e in qualche modo segnati da questa storia.
Non mi ha entusiasmato. Difficile da seguire la storia con i continui passaggi dal presente al passato senza un ordine temporale. Come nei libri gialli, solo alla fine tutti i tasselli trovano una giusta collocazione, ma arrivare a quelle ultime pagine è stato veramente difficile. Descritta bene la società indiana delle caste dove ognuno deve mantenere un ruolo ben preciso per non "creare problemi" all'interno della famiglia.
Recensioni
Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
«Il Dio della Perdita.
Il Dio delle Piccole Cose.
Non lasciava impronte sulla sabbia, né increspature nell'acqua, né la sua immagine nello specchio.»
Un'India diversa, meno nota, non turistica, né drammaticamente dominata dalla miseria e dalla morte, è quella che appare dal romanzo di Arundhati Roy, terra descritta da una scrittrice allora esordiente, che ha l'orgoglio di vivere in India e di parlare di una realtà che quotidianamente vive.
La trama, che non ha un andamento strettamente cronologico, ma si svolge lungo vari periodi della vita dei personaggi, ha dei nuclei portanti intorno ai quali muovono gli innumerevoli piccoli eventi quotidiani, che, pur scorrendo quasi insignificanti, sono in grado di cambiare radicalmente e drammaticamente le esistenze. Ma ciò che avviene non è descritto, è filtrato dall'immaginario di chi ne è protagonista, soprattutto dalla psicologia dei due "gemelli dizigotici" che sono il nucleo principale della storia. Per un bambino ogni parola, ogni gesto ha un significato assoluto, l'amore è un sentimento perennemente a rischio e la morte è una realtà che la fantasia può ignorare (Sophia Moll, la cuginetta morta, in realtà sta facendo le capriole dentro la sua bara, e sorride e gioca...). Più crudele è la vita per Ammu, madre di Estha e Rahel, i due gemelli: il matrimonio con un uomo alcolizzato e violento, il rifugiarsi nella casa paterna del piccolo paese in cui marxismo e pregiudizi di casta convivono, la relazione con un Paravan, un Intoccabile, che la farà scacciare come indegna di vivere in una famiglia abbiente e rispettata. La sua solitaria morte, a un'età in cui non è né giovane, né vecchia, la sua cremazione a cui assistono, in un'atmosfera di alienazione, la figlia e il fratello, sono in un certo senso la conclusione logica di una vita, che vuole rompere certi canoni, ma non sa farlo fino in fondo.
L'aspetto più affascinante del romanzo è il linguaggio, che la traduzione di Chiara Gabutti rende efficacemente: parole che si fanno immagini e cose, anzi piccole cose, piccoli dei. Si è circondati da realtà vive, basta nominarle o pensarle e assumono una loro autonomia e una forza condizionante con cui è possibile dialogare o scontrarsi. Il silenzio e l'isolamento in cui si chiude Estha, che nemmeno la sorella osa spezzare, è forse l'unica risposta possibile, almeno fino ad oggi, a questa società così impermeabile, pur nell'apparente rapida evoluzione del costume.
A cura di Wuz.it
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