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Un colloquio sul tema della secolarizzazione la quale non sarebbe semplicemente un effetto della modernità, bensì una prosecuzione desacralizzata della tradizione ebraico-cristiana, proprio perchè si basa sull'idea della mondanità del mondo. Talchè il cristianesimo sarebbe l'antidoto a ogni fondazionismo, in quanto possibilità che sta in una ragione consapevole, non assoluta, ma concernente il momento storico. Vattimo interpreta la propria teologia che definisce "negativa" della kénosis (Lettera ai filippesi di S.Paolo) come dono di grazia che viene da un altro. Qui l'unica uscita (ovvero norma escatologica) sta nella caritas, per proprie motivazioni pragmatico-esistenziali e non logico-veritative. Ma così, non viene forse indebolito l'essere? Non si sposa una trascendenza orizzontale che rinuncia alla trascendenza verticale di Dio? Piuttosto, per Dotolo la soluzione sta nel ripensare la categoria trinitaria per un cristianesimo secolare, in una coappartenza dei due poli, in una mondanità non chiusa su sé stessa. Infatti, la verità della rivelazione è una costante apertura e all'incontro. Vattimo precisa che la sua è una verità esodale, "un di più": mentre la teologia suggerisce di comprendere il mistero della vita che ha possibilità di aperture differenti e itinerari che aiutano la ricerca di senso e di verità; la filosofia suggerisce l'apertura fenomenologica alla realtà, con rigore ermeneutico in ordine alle domande e argomentazioni. Si tratta, questa, di una prospettiva che non è impermeabile, ma di stretta contiguità. Una suggestiva e avvincente lettura che si intreccia tra filosofia e teologia.
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