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Tra Sette e Ottocento un flusso straordinario di informazioni, immagini, merci e opere d'arte irrompe in Gran Bretagna dall'Oriente, modificando in modo irreversibile la vita quotidiana e l'immaginario di un popolo intero, in tutte le sue componenti sociali. Se già alla fine del XVIII secolo i parchi aristocratici si arricchiscono di fantasiose pagode, nell'arco di pochi decenni importazioni e contaminazioni segnano un'epoca nella storia del gusto: tra tuniche turche e arredi egizi, porcellane cinesi e mussole indiane, carrozze birmane e padiglioni persiani, un turbine di esotismo invade magazzini, salotti e musei, trovando in ultima istanza negli scenari teatrali e nei panorama la più gloriosa e popolare apoteosi dei propri splendori. Ma, al di là di un'aneddotica scintillante, quali tensioni, quali contraddizioni caratterizzano il lungo processo politico, economico e culturale, attraverso il quale l'Inghilterra si appropria dell'Oriente, ne adotta fogge e materie prime, ne altera e ne idealizza paesaggi, miti e credenze religiose? Quando comincia a profilarsi, dietro l'euforia della conquista, la paura delle oscure maledizioni, del potenziale distruttivo che le "spoglie" di un mondo solo parzialmente e imperfettamente sottomesso portano inevitabilmente con sé? Sono gli interrogativi ai quali cerca di rispondere questa vasta e appassionante ricerca, scandagliando le diverse dimensioni del discorso orientalista con un'attenzione particolare a testi letterari maggiori e minori. Ne emerge la visione di un romanticismo tutt'altro che monolitico, confrontato alla pluralità di un Oriente a sua volta polimorfo: uno scenario sorprendente di cui Said, nel suo classico Orientalismo (1978; Feltrinelli, 2001), non aveva esaurito, e forse nemmeno sospettato, l'estrema e tormentata complessità.
Mariolina Bertini
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