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I gatti hanno sette vite. Ma d'Annunzio preferiva i cani, specie i levrieri, e, di vite, ne ebbe forse anche più di sette. Quella fiumana fu la sua penultima vita, la sua "penultima ventura" (p. 497). Di d'Annunzio, per paradosso, amo la coerenza. Non certo quella morale, ché lui forse avrebbe chiamato moralistica, ma quella estetica, in fondo più importante della prima. E se è vero che ogni grande artista non fa altro che riscrivere all'infinito la stessa opera sempre variandola e avvicinandosi ogni volta più pericolosamente al grottesco, in fondo l'Impresa di Fiume non è altro che l'ennesima stesura delle liriche giovanili (con tanto di morte simulata) o del romanzo d'esordio, che, proponendo l'estetismo, al contempo lo supera nel funerale virtuale di Andrea Sperelli che segue il sostituto simbolico della propria bara. D'Annunzio è in fondo un Leopardi fuori tempo massimo e al pendolo tra il dolore e la noia ne affianca uno forse meno tragico, ma più inquietante, tra il piacere (o "Il piacere"?) e la naia, tra la piccola patria della seduzione e del tradimento della donna e la Grande Patria della seduzione e del disincanto delle masse. Di d'Annunzio, alla fine, mi affascinano tanto il vitalismo quanto la stanchezza, sia il genio sia l'ingenuità, ma, soprattutto, la sua eterna ricerca di un equilibrio impossibile tra desiderio e disincanto. "Credemmo per vincere, patimmo per vincere, lottammo per vincere. E che m'importa d'essere vinto nello spazio se sono destinato a vincere nel tempo? (...) Ieri come oggi, oggi come domani, quando la stirpe o l'uomo sta per perdere la ragione di vivere, insorgere è risorgere." (p. 522) Fiume, alla resa dei conti, è l'ennesima metafora di uno scrittore che scriveva anche col pugnale in un'epoca in cui un filosofo filosofava col martello e se questo ebbe nella follia la propria Nemesi, quello la trovò nel decadimento della vecchiaia.
Splendido..non vi è dubbio che è il miglior testo mai scritto sulla impresa di fiume. Brilla soprattutto per la ricostruzione della atmosfera che si respirava in quel contesto; in alcune parti è addirittura avvincente.
In questo libro, scritto dal direttore del Vittoriale degli italiani (assolutamente da visitare più volte) sull’impresa di D’Annunzio a Fiume, è di particolare interesse, oltre alla narrazione dei fatti e dei protagonisti dell’impresa fiumana, la descrizione dei riti (i discorsi dal balcone, la personalità del capo ed il suo rapporto con la folla, i motti, i simboli, le canzoni) di cui si approprierà il fascismo, senza però assorbire anche quella natura profondamente libertaria che incarnò l’impresa fiumana. Molto interessante, ricco di particolari ed aneddoti, è il testo per certi aspetti definitivo sull’impresa di Fiume.
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