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Nel 1949, con la pubblicazione di "Filosofia della musica moderna", due studi su Stravinski e Schonberg, Adorno acquistò fama di storico e critico finissimo dei fenomeni musicali, un critico che per stile, asprezza e capacità di espandere e quasi dissolvere nel più ampio orizzonte della cultura e della politica la specifica materia che va trattando, a volte fa pensare a Nietzsche.
Da allora Adorno condusse la sua indagine sui rapporti, dominati da una massiccia oggettività, fra artista e mondo 'amministrato', e sul condizionamento del gusto nella cultura di massa. L'attività intellettuale, completamente determinata dai rapporti sociali, non ha ormai più nulla di quell'autonomia, di quella spontaneità, alle quali solo gli illusi o gli scaltri possono ancora credere o fingere di credere. I saggi raccolti in "Dissonanze", che costituiscono (eccettuato il primo, scritto nel 1939) la dilatazione delle tesi contenute nella "Filosofia", scoprono le tracce dell'impoverimento progressivo dei valori culturali in alcune manifestazioni tipiche del mondo musicale odierno, sia occidentale sia orientale: la musica come merce reclamizzata mediante le tecniche più perfezionate della propaganda commerciale, la feticizzazione della voce umana e degli strumenti d'autore, la fortuna dell'arrangiamento e del jazz commerciale, la condanna di musicisti come Prokofiev e Sostakovic, avvenuta nel periodo zdanoviano in Russia, la rinascita della Germania postbellica di una corrente pedagogica musicale che s'era compromessa col nazismo.
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