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Descrizione


Il "Divano del Tamarit" appartiene all'ultima grande stagione creativa di Garcia Lorca ed è stato pubblicato dopo la sua morte. Attraverso la libera ripresa di forme poetiche derivate dalla tradizione arabo-andalusa, dall'esperienza generazionale del '27 e dal recupero barocco, il poeta dà espressione a una materia latente in tutta la sua creazione: l'omosessualità, "l'amore oscuro". E' questo il nucleo centrale da cui si irradiano metafore e temi, anche se lo schermo utilizzato è un canzoniere d'amore, in apparenza rivolto a una donna.
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Dettagli

1993
22 febbraio 1993
132 p.
9788831757485

Voce della critica

MENARINI, PIERO, Introduzione a Garc¡a Lorca, Laterza, 1993
GARC¡A LORCA, FEDERICO, Impressioni e paesaggi, Passigli, 1993
GARC¡A LORCA, FEDERICO, Il Pubblico, Garzanti, 1993
GARC¡A LORCA, FEDERICO, Divano del Tamarit, Marsilio, 1993
recensione di Rosso Gallo, M., L'Indice 1993, n. 8

Le opere di Garc¡a Lorca apparse recentemente in versione italiana rappresentano fasi e aspetti diversi della feconda traiettoria letteraria dell'autore granadino.
"Impressioni e paesaggi" è il libro dell'esordio: pubblicato nel 1918, raccoglie infatti le prose poetiche composte nei due anni precedenti, ossia quando Lorca non era ancora ventenne. L'occasione viene offerta da alcuni viaggi svolti in ambito universitario, con l'obiettivo di divulgare in modo diretto la conoscenza dell'arte spagnola e di addestrare gli studenti a scrivere le loro riflessioni in proposito. La dicotomia del titolo sintetizza il motivo basico che percorre queste pagine giovanili: il rapporto fra il mondo esteriore e la sfera emotiva, fra le parvenze del paesaggio naturale o artistico e le impressioni suscitate nell'animo di chi le contempla. Tale corrispondenza si delinea significativamente nei sei brani selezionati e tradotti da Carlo Bo: così in quello iniziale ("La Certosa") la descrizione pittorica dei panorami, attenta ai dettagli e alle note di colore, subito si intreccia con una gamma di sentimenti che passa gradualmente dalla tristezza all'angoscia. La scrittura, dunque, coglie prima la realtà esterna così come appare allo sguardo, poi le reazioni intime dell'io narrante (si veda, per esempio l'orrore notturno scandito dai latrati dei cani in "Monastero di Silos") e, infine, si apre a riflessioni di vario tipo che spaziano dai giudizi sulle opere d'arte contemplate nei monasteri, ai pensieri sugli effetti emotivi della musica, alle considerazioni sul modo di intendere la vita cristiana ("Clausura"), e così via.
Per quanto nell'insieme si tratti di un libro ancora acerbo e disuguale, sul piano sia della forma sia del contenuto, non mancano tuttavia pagine di intenso lirismo, che già lasciano presagire il sicuro istinto letterario di Lorca e indicano il filo di continuità che percorre tutta la sua opera. Come scrive Carlo Bo nella prefazione, questi primi scritti non vanno relegati "in appendice alla grande storia", ma vanno tenuti presenti "per entrare nell'intelligenza poetica" dell'autore.
Integrano l'edizione italiana altri brani, scelti dalle prose postume e dai testi delle conferenze tenute dal poeta. Alcuni di questi sono particolarmente utili per comprendere i presupposti culturali di Lorca: per esempio, "Parole sul teatro", dove egli attacca lo spettacolo commerciale, in nome di una drammaturgia attenta ai valori umani e sociali; o "Teoria e gioco del demone", in cui illustra lo spirito della grande arte spagnola attribuendolo al misterioso alito emotivo del 'duende', il demone o folletto che trasfigura l'artista e, trascinandolo in un irripetibile impulso di vita e di morte, rende sublimi le sue esecuzioni.
Il libro curato da Raoul Precht, "Il Pubblico", include, oltre all'omonimo dramma (la cui stesura risale al 1930), anche l'incompiuta "Commedia senza titolo" (scritta probabilmente nel 1935 e pubblicata per la prima volta nel 1978 da Marie Laffranque); ossia due opere che appartengono al cosiddetto "teatro impossibile" e che testimoniano l'impegno di Lorca per rinnovare questo genere di spettacolo. Il marchio di "impossibilità" deriva dalle stesse dichiarazioni dell'autore, il quale, consapevole di stravolgere i gusti correnti degli spettatori, sembra propenso a destinare alla lettura i suoi scritti teatrali più audaci.
"Il Pubblico" è un testo emblematico per capire quali fossero gli obiettivi di Lorca e in cosa consistesse praticamente l'innovazione. Adottando il ricorso del "teatro dentro il teatro" l'azione gira intorno alla messa in scena di "Romeo e Giulietta"; sfuggendo alla logica di una trama basata sulla successione consequenziale di eventi, il dramma si snoda attraverso il dialogo di personaggi continuamente soggetti a un processo di metamorfosi (significativa è la ricorrenza del verbo "trasformarsi"), ossia all'assunzione di maschere diverse, sotto le quali si cela e si disperde la loro vera identità. In effetti, la tematica di fondo è proprio il conflitto tra verità e finzione: questo, da un lato, sfocia nel dibattito sul teatro, in cui, allo spettacolo inteso come pura evasione dal reale e governato da principi estetici in ossequio ai gusti del pubblico, si oppone un tipo di rappresentazione che sia specchio della vita, capace di accogliere anche gli aspetti più crudi e sgradevoli; dall'altro, porta a un'ampia riflessione sull'amore, coinvolgendo varie prospettive, come l'identità sessuale, o la possibilità di comunicare realmente e di giungere alla dimensione più autentica della persona desiderata, superando l'apparenza ingannevole della maschera. Sarebbe dunque riduttivo definire "Il Pubblico" un dramma sull'omosessualità: per quanto questo tema venga trattato in modo esplicito, esso rientra in una problematica ben più vasta, la ricerca del vero, nella vita come nell'arte, al di là dei condizionamenti sociali e culturali. L'opposizione tra essere e apparire e il metadiscorso sul rinnovamento teatrale vengono ripresi nella "Commedia senza titolo", in cui si sperimenta un coinvolgimento ancora più diretto del pubblico. Nel dialogo di apertura fra l'Autore e alcuni Spettatori, infatti, si mettono polemicamente a confronto le aspettative di quanti si recano a teatro convinti che lì tutto debba essere menzogna e le intenzioni del drammaturgo, deciso a scuotere le coscienze, mostrando la realtà che si vuole ignorare, "quell'incredibile vita che appunto a teatro non si vede", pur senza la pretesa di offrire dei paradigmi di condotta: "Io non voglio correggere il comportamento di nessuno. Voglio soltanto che la gente dica la verità". Un teatro di testimonianza e di accusa, dunque, non semplicemente "all'aria aperta", ma "sotto la sabbia" (come lo definiscono alcuni personaggi di "Il pubblico"), dove lo spettatore è chiamato ad abbandonare il tradizionale ruolo passivo, in un consapevole atto di rottura con le mistificazioni letterarie.
"Il Divano del Tamarit", pubblicato postumo nel 1940, è una raccolta di venti poesie, scritte fra il 1931 e il 1934, anno in cui, secondo la testimonianza di Garc¡a G¢mez, Lorca informò gli amici che, in omaggio agli antichi poeti granadini, aveva composto "una raccolta di 'caside' e 'gazzelle', cioè un "Divano" che, dal nome di un frutteto della sua famiglia dove vennero scritte molte di esse, si sarebbe chiamato "del Tamarit"". Fin dal titolo, quindi, è evidente la volontà di rapportarsi alla tradizione lirica arabo-andalusa: 'diwan', infatti, è il nome dato in arabo al canzoniere di un unico autore, mentre la 'gacela' e la 'calida' sono particolari tipi di componimenti poetici. Va però precisato che queste denominazioni vengono assunte in modo arbitrario, in quanto Lorca non intende affatto sperimentare una trasposizione di strutture metriche o un diretto confronto intertestuale con gli autori mozarabi: i nomi mutuati dalla letteratura orientale sono piuttosto un segno di riconoscimento della propria filiazione culturale e, come scrive Melis nella sua bella introduzione, "l'arabismo è lo stimolo per un nuovo rivolgimento formale, che corrisponde a uno scavo nella dimensione dell'eros". lI tema erotico è, infatti, il filo conduttore che percorre e unifica la raccolta. L'emittente lirico, rivolgendosi in molti casi a un 'tu' destinatario interno, esprime le angosciose pulsioni di agonia e di morte che accompagnano un desiderio oscuro (aggettivo che registra un'alta frequenza) e irrealizzabile. Oggetto dell'impulso amoroso è "il tuo corpo per sempre fuggitivo", il "nitido nudo" che appare, in un tormentoso presagio di annientamento, "come un cactus nero aperto tra i giunchi". All'unione degli amanti si oppone un cosmo antagonista, che, annullando la ciclica alternanza del giorno e della notte, vanifica ogni speranza di incontro e suscita nell'emittente lirico un anelito di sconvolgimento universale ("Io voglio che l'acqua rimanga senza alveo", ecc.), come proiezione della propria disarmonia interiore. L'oscurità della tensione erotica trova espressione nel moltiplicarsi di simboli e metafore, spesso attinti dalla categoria vegetale: magnolie, gelsomini, verbene, iris, e così via, costituiscono la variegata flora del "giardino della mia agonia". L'associazione amore-morte si traduce in immagini di avvelenamento: cicuta che cresce "sull'arco dell'incontro", cotogne venefiche, tramonti "di verde veleno". E fra i presagi infausti non manca la consueta simbologia lunare, astro che appare "con bocca di serpente". Si configura, dunque, un canzoniere intenso ed ermetico, che rivela la piena maturità del Lorca poeta. Melis osserva che, sotto lo schema convenzionale della lirica amorosa rivolta a una donna, si occulta la celebrazione di un eros omosessuale. In realtà, come nota giustamente anche Menarini, raramente è dato di riconoscere il sesso dell'interlocutore e quando si esplicita la presenza di una figura femminile (per esempio nella "Casida della donna distesa"), essa si delinea come metafora di negazione e sofferenza. In genere, comunque, i dettagli di identità si dissolvono attraverso il ricorso alla sineddoche e alla metonimia: il 'tu' non corrisponde a un destinatario concreto, ma è figura emblematica dell'Amore vissuto come "martirio" (altro termine ricorrente) e aspirazione irrealizzabile, lungo la traiettoria di un oscuro percorso senza sbocco vitale. La pubblicazione di queste opere in versione italiana coincide con l'uscita di una "Introduzione a Garcia Lorca" di Piero Menarini, esperto nel campo, che, fra l'altro, alcuni anni fa ha dato alla stampa il primo testo lorchiano per burattini e i manoscritti di "Lola la comedianta". Un manuale ricco di notizie, commenti e informazioni bibliografiche, che non mancherà di interessare il lettore desideroso di approfondire la conoscenza del mondo letterario di Lorca.

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Federico García Lorca

1898, Fuentevaqueros (Granada)

Federico García Lorca è stato un poeta e drammaturgo spagnolo. Studiò legge (1915-18) a Granada, dove si laureò nel 1923. Dal 1919 risiedette soprattutto a Madrid. Oltre a D. Berrueta, professore di storia dell’arte, e al giurista F. de los Ríos, che lo incoraggiarono a pubblicare i primi versi (1917) in un giornale di Granada, e al musicista M. de Falla, che lo riteneva uno dei suoi migliori allievi, a Madrid ebbe molti amici, specialmente tra i frequentatori del centro culturale Residencia de estudiantes: Dalí, Guillén, Buñuel, Alberti, Dámaso Alonso, Cernuda, Aleixandre, Salinas, Diego, insomma tutta la cosiddetta generazione del 1927. Profondamente legato alla terra andalusa, trovò i suoi canali espressivi,...

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