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Ultimo, splendido lavoro di Fernaldo Di Giammatteo (coadiuvato da Cristina Bragaglia) prima della sua morte, avvenuta nel febbraio del 2005 che ha chiuso un'esistenza dedicata allo studio, alla conoscenza e alla divulgazione della Settima arte, perseguiti con una passione senza enfasi, lontano dai clamori delle mode cinematografiche e con professionalità pari solo alla sua discrezione. Tutti i film che restano fuori da questa luminosa guida dei grandi maestri e dei buoni artigiani del Cinema di tutto il mondo, potrebbero anche non essere mai stati fatti, senza alcun grave danno per il Cinema stesso.
Murnau, Dreyer, Ford, Hawks, Welles, Tarkovskij, Bergman, Antonioni, Godard, Fassbinder, Olmi, Anghelopoulos...l'elenco potrebbe continuare, perché i grandi del cinema ci sono tutti. Però, il dizionario - curato da Fernaldo Di Giammatteo e Cristina Bragaglia - concede spazio anche ad opere che, forse di minor valore artistico rispetto a quelle dei grandi, hanno avuto un grande impatto non solo in termini prettamente commerciali, ma anche sul piano dell'immaginario collettivo. Per cui sulla selezione c'è poco da recriminare. Certo, manca del tutto quello che è uno dei più significativi talenti degli ultimi anni, cioè quel Wong Kar-Wai che Bertolucci ha definito il miglior regista della sua generazione. Però, poi, il dizionario si riscatta con scelte anticonformiste, in assoluta controtendenza rispetto alle mode imperanti nell'ambito della critica italiana. Si pensi al fatto che, tra le grandi opere del 2004, si menziona un'opera straordinaria come "la sorgente del fiume", ignorata da una considerevole parte degli addetti ai lavori, che hanno smesso da tempo di confrontarsi con Anghelopoulos, considerandolo niente più che un manierista ormai ripetitivo. Ma, scelte non convenzionali a parte, il dizionario si segnala per una caratteristica che, a mio avviso, distingue Di Giammatteo e Bragaglia da molti studiosi di cinema. La loro prosa è tutt'altro che involuta, spesso anzi può risultare spiccia, quasi trafelata. Ma ha il dono della chiarezza, tipica di chi ha veramente qualcosa di dire. Di chi, cioè, non si nasconde dietro una selva di neologismi o dietro l'uso smodato di quei termini mutuati dalla semiotica che molti saggisti di cinema italiani, nei loro scritti, buttano sulla pagina alla rinfusa, quasi dovessero mostrare di essere aggiornati e di aver studiato tanto.
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