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«Il dolore necessario, così lo chiamano. Come se soffrire fosse propedeutico a una qualche forma di elevazione. Conosco persone a bagno nel dolore che non hanno raggiunto alcuna vetta di sensibilità o conoscenza. Io del dolore ne avrei fatto a meno. Anche se è lui che ha raschiato ben bene il fondo e questo mi piace.»
«È un'opera scritta per il teatro, ma si legge come un romanzo. Il protagonista è il tempo, quello che non si vede. Perché la cosa veramente importante, è ciò che si consuma fuori scena, quei lunghi otto anni che la protagonista ha trascorso lontano dalla famiglia» - Katia Ippaso, Il Venerdì
A un certo punto della sua vita una ragazza se ne va. Forse parte, forse non parte. Ma il senso è lo stesso, abbandona il luogo in cui la sua vita è cominciata. Lo abbandona, beninteso, senza lasciarlo mai, le origini sono quelle, non se ne scappa, di dosso non si levano. È però compiuto l’essenziale, il distacco, l’assunzione di un punto di vista dal quale guardarsi le spalle. Il dolore di prima è la storia di questo andare via, ovvero di questa presa di coscienza che si è cresciuti, che è arrivata la maturità e che la maturità coincide con la giovinezza: gli anni in cui si ha ancora la forza e il desiderio (soprattutto il desiderio) di farla finita con il dolore che ci ha accompagnati fino a quel punto. Si tratta di un momento forse breve, ma è un momento miracoloso, è costato una fatica sovrumana, congiunge la sofferenza e la liberazione dalla sofferenza.)Recensioni pubblicate senza verifica sull'acquisto del prodotto.
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