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Se il personaggio di Don Giovanni, secondo Macchia, è fra i rari miti moderni assimilabili alle grandi figure mitiche classiche perché sempre "vivo nell'immortalità della sua giovinezza", vale la pena di leggere tutto d'un fiato questo piccolo libro di Henri-Pierre Roché, anche solo per constatare a quali inedite metamorfosi l'autore di Jules e Jim lo sottopone in questa sua opera giovanile, iniziata verso il 1907 e pubblicata dopo infinite riscritture solo nel 1920, con lo pseudonimo di Roc.
Osservazione preliminare: il Don Juan di Roché (che l'editore Barbès propone nell'asciutta traduzione di Tommaso Gurrieri) recupera il mito del seduttore togliendolo dall'inabissamento finale nelle fiamme infernali a cui lo condannavano Molière e Mozart-Da Ponte. Anzi, in Roché accade l'esatto contrario: nel frammento narrativo iniziale Don Juan ha solo sette anni e fantastica su una donna raffigurata in un quadro, nel frammento finale non ha un'età precisa, ma dialoga con la Sirenetta di Andersen e l'aiuta e rituffarsi nel mare. È in qualche modo un mondo di silhouette che vivono nella fragile immortalità dell'arte, un mondo dell'infanzia che sogna le avventure dell'età adulta, quello che lo scrittore aggrega attorno al mito di Don Giovanni. Cielo e inferno possono essere solo sognati, come avviene verso la fine del libro, nella sequenza Don Juan e la strada del cielo.
Seconda osservazione: Don Juan non è un romanzo ma una serie di schegge narrative, variazioni che si succedono e si illuminano stilizzate come le immagini di una lanterna magica. Siamo gettati nel tempo "fuori dal tempo" e nello spazio astratto delle fiabe. Il Don Juan di Roché non ci presenta una figura drammatica complessa, ma l'incarnazione di un dubbio, di un'interrogazione ripetuta in infinite varianti sulle donne e sulla vita.
La seduzione e il collezionismo, la curiosità insaziabile verso la misteriosa sessualità femminile sono la cifra che accomuna il personaggio di Don Juan all'esperienza esistenziale di Roché. Ma il testo, nel suo formarsi, aspira proprio ad allontanare qualsiasi tentazione autobiografica. Il libro, iniziato da un autore poco più che ventenne negli anni in cui vive immerso nell'età dell'oro delle grandi avanguardie parigine, cresce tanto lentamente per tenere a distanza il rinvio biografico diretto e la soggettività. Inventa uno stile astratto, spoglio e ironico, falsamente naïf. Quarant'anni prima di scrivere il suo più celebre romanzo, Jules e Jim, Roché procede già verso lo stile puntilista, terso ed ellittico che incanterà il giovane Truffaut al momento di adattare per lo schermo un libro reso misterioso proprio "dall'enorme quantità di frasi e parole cancellate".
All'interno dei ventotto quadri in cui prendono forma le avventure di Don Juan, la seduzione circola come un'essenza immateriale, astratta. Non c'è cupa violenza, né inganno, né empie sfide: Don Juan entra in ogni quadro come scaturito dal nulla, si guarda intorno curioso, osserva e agisce in immediata sintonia con l'ambiente in cui si ritrova immerso. Nessun indugio su dettagli superflui: il motto di Roché, per parafrasare il Leporello di Mozart-Da Ponte, è "il resto non dico / già ognuno, già ognuno lo sa".
Irreversibilmente decontestualizzato, il Don Juan di Roché lascia dietro di sé ogni avventura come le tessere di un puzzle che non può assumere forma definitiva, perché nessuna tessera si incastra perfettamente con l'altra. Nelle avventure finali, il personaggio-eroe viene addirittura privato dei dettagli genericamente concreti presenti nei quadri iniziali (villaggi, castelli, prati, fattorie, fienili), per inoltrarsi risolutamente nei paesaggi del sogno o nell'incontro con esseri non meno mitici di lui, che appartengono a un universo parallelo, il mondo dell'arte o della fiaba. A partire dalla sequenza Don Juan e la montagna, lo spazio dell'eroe include: l'aquila di Giove, la strada del cielo, un angelo dalle ali blu, Messalina, Ofelia, la Gioconda, Venere, la Sirenetta.
Libro-girotondo (non è un caso se, quando Roché inizia a scriverlo, ha da poco tradotto La Ronde di Schnitzler), Don Juan verso la fine si riavvicina insensibilmente all'infanzia da cui è partito: l'incontro con Venere devia immediatamente dall'amore sessuale maturo per far regredire l'eroe verso il paradiso acquatico di una vita fetale, raddoppiato in qualche modo dal successivo incontro con la Sirenetta. Tutto il vissuto erotico frammentario di questo Don Giovanni senza età sarebbe allora la materializzazione, in un indeterminato futuro, dell'iniziale fantasticheria onnipotente del protagonista bambino, sul punto di addormentarsi, nel primo segmento narrativo del Don Juan. "Che sia così!": l'urlo trionfante dell'eroe a sette anni è l'apertura di un sipario onirico, che si spalanca su un eterno presente di avventure sognate. Lina Zecchi
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