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L'autore ci propone una assai apprezzabile filosofia politica discorsiva e dialogica. Un tentativo di ripensare i fondamenti dell'impegno pubblico in una fase di stanca delle passioni e di tramonto delle ideologie. La gamma degli autori citati è ricca e scaltrita. Si va da Hobbes a Locke, a Marx, a Weber, Freud, Camus per arrivare a Dahrendorf e giù giù fino a Foucault o ad Agamben. Non mancano richiami a esperienze culturali diverse, come il riferimento a registi quali Antonioni o Bertolucci. Tuttavia questa scorreria nelle regioni del pensiero non è un viaggio senza bussola e mostra un orientamento intellettuale assai definito. Ramoneda si richiama all'Illuminismo, ma, ancor prima che nei classici settecenteschi, ritrova le radici del moderno logos ragionante in autori rinascimentali come Montaigne, La Boétie, Machiavelli. Grazie a questi saldi fondamenti concettuali, non ci viene scodellata l'ennesima zuppa postmoderna, e il libro non si risolve in un manualetto alla moda del politichese corretto. Alla fine del discorso troviamo, infatti, l'affermazione del principio di non credenza, che non è una proclamazione di scetticismo, ma rimanda all'esistenza di un soggetto in grado di giudicare criticamente gli avvenimenti. Riassuntiva di una tale impostazione è l'osservazione che "nel passaggio dall'io al noi si perdono molti chili di pensiero critico". Ogni volta che qualcuno si presenta come voce collettiva (noi pensiamo [...]), il dogmatismo comincia a scavare a detrimento del pensiero"???VIRGOLETTE. Questo, invece ha e deve necessariamente???"una vocazione universale ma anche una dimensione personale e non trasferibile". Il succo del libro, perciò, è un invito a superare le aporie della nostra contemporaneità attraverso la riflessione critica e il dubbio razionale.
Maurizio Griffo
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