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Dovuto alla natura. Riflessioni sulla complessità biologica e culturale - Brian C. Goodwin - copertina
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Dovuto alla natura. Riflessioni sulla complessità biologica e culturale
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Dovuto alla natura. Riflessioni sulla complessità biologica e culturale - Brian C. Goodwin - copertina
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Descrizione


La nostra cultura scientifica, dalla quale è nata la tecnologia moderna, ha un disperato bisogno di cambiamento. Il lavoro scientifico viene svolto principalmente da gruppi di specialisti, attivi in discipline separate, che cercano risposte a domande estremamente specifiche che hanno ben poco a che fare con il mondo vivente. Brian Goodwin, eminente biologo e matematico, afferma una visione della natura come una serie di reti complesse e interconnesse di rapporti. Secondo Goodwin, per lavorare nuovamente insieme alla natura e raggiungere una vera sostenibilità sul nostro pianeta, dobbiamo adottare una nuova scienza, una nuova arte, un nuovo design, un nuovo modello economico e nuovi modelli di responsabilità. Dobbiamo essere preparati a dare alla natura il dovuto: riconoscere che abbiamo un debito con il mondo naturale e rifiutare di sfruttarlo solo per i nostri fini. In questo libro, Brian Goodwin propone di ripensare e ampliare la visione scientifica in modo tale che natura e cultura siano considerate un processo creativo ininterrotto e unificato, invece che due ambiti separati in cui le peculiarità dell'uomo vengono viste come tratto distintivo che separa l'una dall'altra.
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Informazioni:

Arezzo, Aboca, 2009, 8vo brossura originale con copertina illustrata a colori, pp. 238. Ottime condizioni.

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Dovuto alla natura. Riflessioni sulla complessità biologica e culturale

Dettagli

2009
Libro universitario
236 p., ill. , Brossura
9788895642369

Voce della critica

Da più di quattro secoli, dopo che Galileo esperimentò il movimento dei cilindri sui piani inclinati, la velocità dei corpi in caduta libera e il moto di rivoluzione delle lune di Giove, nelle scienze occidentali predomina indiscussa l'ipotesi che le sole considerazioni valide sul mondo siano basate su quantità misurabili. Da allora abbiamo imparato ad applicare le conoscenze quantitative per sfruttare sempre più intensamente le risorse del pianeta – oltre che per imporci gli uni sugli altri grazie al potere economico o militare da esse conferito. Contemporaneamente, abbiamo cercato di separare il più possibile noi, genere umano, dai destini fisici e biologici del mondo naturale che pure, continuamente, osserviamo e misuriamo. Nei paesi ricchi traiamo enormi benefici materiali da questa scelta, ma subiamo anche le conseguenze dell'isolamento dal regno della natura, scoprendoci alienati come individui e come società, incapaci di coniugare, nel terzo millennio, i concetti di sviluppo umano e tecnologico.
Sulla visione quantitativa del mondo, il biologo e matematico canadese Brian Goodwin, scomparso nel luglio 2009, ha sempre sostenuto una prospettiva piuttosto critica. Inserendosi in una corrente di pensiero che vede le tecnologiche moderne come profondamente problematiche, Goodwin reputava l'umanità intera coinvolta in un progetto storicamente e culturalmente fallimentare. La sua ultima pubblicazione, Dovuto alla natura, parte dall'elenco dei preoccupanti esiti delle scelte tecnocratiche (perdita di biodiversità, mutazioni climatiche, depauperamento culturale e linguistico, impoverimento alimentare, alienazione urbana ecc.) e arriva a confutare la visione della natura come entità inerte sulla quale si può agire indisturbati. Come educatore, Goodwin ricostruisce il percorso intellettuale dell'Occidente moderno, da Cartesio e Bacone fino alla biologia evoluzionista e alla teoria della complessità, osservando che la direzione intrapresa dalla tecnica genera dubbi sulle intenzioni reali dello spirito scientifico contemporaneo. Come scienziato, egli illustra il proprio percorso formativo, dalle prestigiose università anglosassoni allo Schumacher College (istituto internazionale di ricerca sulla sostenibilità, Devon, Inghilterra) fino allo sviluppo di un'interpretazione della scienza capace di superare le visioni meccanicistiche e riduzioniste.
Abbiamo cominciato a disincantare la natura dopo il Rinascimento, afferma Goodwin, arrogandoci la consapevolezza, l'intelligenza e la libertà d'arbitrio, mentre il mondo è stato progressivamente concepito come un sistema meccanico. I nostri interventi tecnologici, fuori equilibrio, ci portano adesso a osservare crisi irriducibili in campo ambientale, nelle relazioni di comunità, nell'habitat, fino alla modifica del clima del pianeta. Per Goodwin, tutto ciò scaturisce dall'artificiosa distinzione fra cultura e natura, fra il dominio sulle quantità e l'incapacità di valorizzazione delle qualità. Per sanare questa separatezza, l'enfasi nel rapporto con la natura andrebbe spostata dal problema del controllo a quello della partecipazione e andrebbero svelate tutte le relazioni che ci legano al mondo naturale, abbandonando il principio cartesiano che separa l'osservato dall'osservatore. La dimensione intuitiva della conoscenza va rivalutata e le descrizioni del mondo devono rappresentare insieme concetti astratti e concreti.
Infatti, nella parte centrale (Un'evoluzione dotata di significato, cap. 4, e La vita della forma e la forma della vita, cap. 5), il suo testo propone una declinazione della biologia secondo il canone delle scienze esatte. A Goodwin interessa una prospettiva della natura di stampo matematico: leggi, principi, organizzazione, regolarità delle forme viventi, ma non basate solo su costanti fisiche. In biologia, nota l'autore, abbiamo anche variabili fisiologiche periodiche: la temperatura corporea, il battito cardiaco, le fasi della respirazione, la distribuzione delle sostanze nel sangue. La biologia, insomma, come regola dei cicli di ordinamento emergenti dai sistemi complessi, invece che come analisi storico-evoluzionista di quel che è accaduto per adattamento e selezione. È l'idea dello strutturalismo, secondo cui le dinamiche che regolano la forma e l'ordine della materia guidano anche lo sviluppo degli esseri viventi: un identico principio si esprime nei cristalli, nel flusso dei liquidi e nelle dimensioni delle forme organiche. Sotto questa prospettiva, le "infinite forme bellissime" della natura osservata da Darwin non sarebbero il risultato degli adattamenti imposti dall'ambiente e dalla selezione, ma espressioni della moltitudine dei percorsi evolutivi intrinseci negli organismi. L'evoluzione diventa una danza, celebrativa solo dell'inarrestabile creatività del vivente, priva di finalità. Se c'è una direzione è per l'esplorazione di nuove forme e spazi; noi stessi, per essere partecipi della natura, dovremmo riconoscere e accettare il nostro ruolo nella sua complessa trama.
Nella prospettiva scientifica tradizionale, il pensiero di Goodwin si offre a critiche profonde: egli usa il concetto di "significato" per la ricerca delle soluzioni evolutive e concepisce la duplicazione del Dna come decodifica di informazioni da parte delle cellule che, interagendo con l'ambiente, sviluppano forme biologiche efficienti ed esteticamente apprezzabili. Inoltre, l'accostamento dei concetti di gene e organismo a entità di tipo fisico e la riduzione dell'intelligenza a potenziale ingegneristico insito nei processi biologici appaiono come forzature. Il problema è che la razionalità scientifica non ha ancora offerto risposte davvero convincenti per le domande poste da Goodwin sulla crisi del rapporto fra individuo umano e natura. La soluzione non è in un maggior rigore scientifico: le proposte finora abbozzate sono insoddisfacenti anche perché non colgono il cuore del problema, non si tratta di questioni solo tecniche o scientifiche. Va ricordato, piuttosto, che le rappresentazioni convenzionali della scienza svolgono anche una funzione di sostegno al mito della modernità e del progresso tecnologico, notando appena, spesso con fastidio, che l'evidenza, invece, contraddice abitudini inveterate di pensiero e ragionamento.
Le metafore di Goodwin sono a rigore insostenibili, ma suggestive e rafforzate da una visione dinamica della natura e dei suoi cicli. L'ipotesi dell'autore è che la vita sia un particolare stato organizzato di sistemi, il suo problema è individuare quali regole si applicano all'organizzazione del vivente. L'originalità di questa proposta sta nell'includere entro il dominio scientifico nozioni che afferiscono alle qualità, inclusi gli affetti umani e le emozioni. Nella monotonia culturale che domina il nostro immaginario, per esempio, la competizione è esaltata come strumento di selezione vantaggiosa e progressista. Ma, nel gran conflitto della natura, gli organismi sopravvissuti non sono in assoluto superiori a quelli estinti. Goodwin avrebbe suggerito che la soluzione non è in un modo nuovo di affrontare la lotta, con strumenti più potenti, né nell'essere "migliori di": si tratta, soprattutto, di trovare il luogo e il modo in cui riuscire a essere se stessi.
Enzo Ferrara

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