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Per oltre cinquant’anni dopo la sua scomparsa, la vita e l’opera di Gerda Taro sono rimaste per lo più nell’oblio. Lei, poco più che un’ombra dietro il nome del compagno Robert Capa, divenuto uno dei più celebri reporter di guerra e co-fondatore di Magnum Photos. Gerda Taro (Contrasto Editore, 2019) di Sara Vivian con un tratto lieve ci racconta la vita di questa donna, di cui si sa troppo poco. Dapprima diventa l’agente di Friedman, poi nell’Ottobre del 1935 riesce a ottenere un impiego fisso diventando photo-editor dell’agenzia internazionale Alliance, diretta dall’amica di lui, Maria Eisner. Alliance Photo rifornisce le più importanti riviste nazionali e internazionali da Vogue ad Harper’s Bazar per citarne due. Entrambi lavorano duramente, ma le entrate scarseggiano e fanno sempre fatica ad arrivare a fine mese così: «agli inizi del 1936, lei ha un’idea non convenzionale che si rivelerà vincente e cambierà la storia del fotogiornalismo. La strategia nasce come un gioco: creare il personaggio di un fotografo americano ricco e famoso venuto a lavorare temporaneamente in Europa e che vende le sue foto, ovviamente, a caro prezzo. Ha già pronto un nome: Robert Capa, forse ispirato al regista Frank Capra, autore di Accadde una notte e simbolo del successo hollywoodiano. Una strategia ambiziosa che sembra funzionare. Da quel momento Andrè Friedman sarebbe diventato Robert Capa e Gerta Pohorylle si trasforma in Gerda Taro (un richiamo a Greta Garbo o il nome di un artista giapponese?), la sua agente». Insieme a Robert Capa furono i primi giornalisti di guerra, facendo un reportage fotografico durante la Guerra civile spagnola – quella del Guernica per intenderci –, di cui rimane nella memoria collettiva la fotografia del miliziano che cade morendo.
Era una buona idea, ma il personaggio è sviluppato troppo superficialmente
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