(Cinocefale, Tebe, 518 - Argo 438 a.C.) poeta greco. Nacque da nobile famiglia. Dopo un periodo passato a Tebe si trasferì ad Atene, dove ebbe come maestri Apollodoro, Agatocle e Laso d’Ermione. Del 498 è il primo componimento datato, la X Pitica per Ippocle di Tessaglia. Durante le guerre persiane mantenne un atteggiamento distaccato, quasi indifferente, ma più tardi cantò Atene come «baluardo della Grecia». Fu in Sicilia alla corte di Gerone di Siracusa insieme a Bacchilide (con il quale, nel 476, celebrò la vittoria olimpica di Gerone). Scarse sono le notizie sugli anni successivi: l’unica data sicura è il 446 (VIII Pitica per un atleta di Egina). Si tramanda che Alessandro Magno, quando nel 336 distrusse Tebe, volle risparmiata la sua casa.P. trattò tutte le forme della lirica corale: inni, peani, ditirambi, encomii, treni, epinici. Gli alessandrini avevano raccolto e diviso la sua opera in 17 libri. Noi abbiamo solo i quattro libri degli Epinici, cioè 45 Odi (di autenticità malsicura è la V Olimpica), nonché 350 frammenti, particolarmente importanti perché ci fanno conoscere qualcosa della poesia di P. non trasmessa dalla tradizione. Gli Epinici, cioè i canti per gli atleti vincitori, venivano cantati dal coro accompagnati dal flauto e dalla lira. Uniforme è, in generale, la loro struttura: il primo elemento è costituito da notizie sul vincitore e sulla sua famiglia (P., aderendo alle idee del mondo aristocratico, ritiene la virtù ereditaria), mentre poco si dice dell’andamento della gara. Il secondo elemento, il più importante e svolto quasi sempre con molta larghezza, è costituito dal mito, che può essere suggerito dagli antenati del vincitore o dal luogo della vittoria, mentre altre volte ha funzione di esempio. Il terzo elemento, infine, è costituito dalle sentenze: convinto che la vittoria possa sopravvivere solo per merito della poesia, P. espone i propri ideali e principi, conferendo all’epinicio un carattere solenne e religioso. Originale, in P., è lo stile, che procede a sbalzi e per così dire in verticale, secondo processi associativi fulminei e imprevedibili (i cosiddetti «voli pindarici»). P. si richiama a Esiodo e al ciclo epico, ma rielabora i miti eliminandone le componenti più «laiche» e fornendone una versione quasi nobilitata e (dal punto di vista strutturale) scorciata e asimmetrica: il tutto in un linguaggio alto e denso di traslati, che mescola vari dialetti e recepisce numerosi elementi omerici. L’influenza di P., considerato dagli antichi inimitabile (Orazio dichiara che è impossibile competere con il poeta di Tebe), è stata rilevante nella poesia moderna su poeti come Goethe e, soprattutto, Hölderlin, che vide in P. il simbolo della liberazione del genio da ogni vincolo formale.