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Echi del silenzio
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Echi del silenzio - Guat Eng Chuah - copertina
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Echi del silenzio

Descrizione


Durante un soggiorno di studio in Germania, Ai Lian, una giovane malese di etnia cinese incontra e s’innamora di Michael Templeton, un inglese nato e cresciuto nel distretto di Ulu Banir, dove il padre Jonathan, ora cittadino malese, possiede una piantagione. Dopo una lunga assenza, Ai Lian ritorna a casa per assistere il padre morente, e in seguito parte per la piantagione dei Templeton, invitata da Michael che è intenzionato a sposarla. Nel giorno del suo arrivo ha però luogo un omicidio, il secondo a distanza di decenni, e Ai Lian si trova ben presto coinvolta in un’intricata storia familiare. Ma il thriller, oltre alla ricerca del colpevole, con un finale davvero inconsueto per il lettore occidentale, offre molto di più: uno spaccato della Malesia e della sua storia fino ad arrivare agli anni che precedono l’Indipendenza del Paese, con gli inglesi che governano le piantagioni cercando di replicare il loro stile di vita, pur cedendo al caldo tropicale e ai costumi locali.
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Dettagli

2019
18 giugno 2019
415 p., Brossura
9788894979206

Valutazioni e recensioni

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Raffaella Bianchi
Recensioni: 3/5

La casa editrice Le Assassine continua nella sua scelta di divulgare in Italia gialli e noir di scrittori non conosciuti e provenienti spesso da culture “altre”. In “Echi del silenzio” la protagonista è Ai Lian, giovane malese di etnia cinese, che studia in Germania. E’ proprio lì che incontra e si innamora, ricambiata, di Michael, un ragazzo inglese nato e cresciuto proprio in Malesia, dove il padre possiede una piantagione. Tutto il romanzo gioca sul tema del doppio, nel senso della duplicità delle persone e delle loro motivazioni vere e quelle recondite. A fare da fil rouge all’intricata vicenda e alle indagini ci sono ancora duplici oggetti: due pistole scomparse in epoche diverse, o forse una sola, e due collane di diamanti, anch’esse di epoche diverse, ma che paiono una sola collana che scompare e riappare. E spesso echeggia qua e là il richiamo a quel capolavoro che è “L’importanza di chiamarsi Ernest” che Wilde declinava sul grottesco ironico, mentre l’autrice vira il tema sul tragico. Al di là della trama del giallo, affascinante è l’ambientazione malese del romanzo (non pensate a una versione aggiornata dei romanzi salgariani!). E ancora di più la descrizione sociologica e psicologica dei personaggi e delle difficoltà che trovano a rapportarsi chiaramente l’uno con l’altro, a causa dell’etnia differente: malesi, cinesi, euroasiatici. Il libro ha uno stile prettamente esotico, assai lontano dal classico giallo/noir europeo o americano, e se da un lato questa sua “etnicità” rende a volte difficoltosa la lettura, dall’altro ci fa immergere in un mondo assai diverso dal nostro.

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Recensioni

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Voce della critica

Cynthia è morta, e per quanto possiamo immaginare anche il suo assassino. Seguite il consiglio di un vecchio: dimenticatevi di tutta questa faccenda e lasciate che le loro anime riposino in pace.

Chuah Guat Eng, scrittrice malese pubblicata in Italia da Le Assassine, tinge vent’anni di storia del suo paese e dei personaggi che vengono messi in scena in questo complicato gioco di scacchi, di un giallo a volte così ricco di zone d’ombra da confondere il lettore.

Può il silenzio far rumore? A volte sì, soprattutto quando il silenzio non è una scelta volontaria ma è un’identità che ci è stata strappata: in quel caso la sua eco può percorrere distanze temporali inimmaginabili e raggiungerci anche dopo molte generazioni. È il rumore di un’occasione mancata, di ciò che avrebbe potuto essere e invece non è stato se al mondo ci fosse stata maggiore giustizia. L’assenza di giustizia talvolta non fa scalpore: ci sono zone della Terra dove i diritti degli esseri umani non sono rispettati, dove le donne vivono ancora in condizioni di inferiorità, dove interi popoli vengono dominati e a volte sterminati. Le loro voci soffocate prima o poi ci raggiungono, proprio come fanno con la protagonista del romanzo. Negli anni ’70 del Novecento, dopo i disordini avvenuti nel suo Paese di origine alla fine del decennio precedente, la malese Ai Lain si trasferisce a Monaco, in Baviera, per motivi di studio. Lo studio cela la voglia di fuggire da una cultura che le va stretta e da tradizioni che non sente proprie, oltre che dalla propria famiglia: una madre a cui si fa poco riferimento, un padre che non riconosce simile a lei. Ad un tratto, dai ricordi del suo passato, fa capolino per alcune pagine la nonna paterna, rappresentazione della tradizione malese e della povertà di un popolo che, dopo la dominazione inglese, fatica a riconoscersi in se stesso e allo stesso tempo a fondersi con l’Occidente e, quando lo fa, lo fa in maniera esagerata, ostentandone i peggiori difetti e manie. Il lettore segue la protagonista nei suoi flash back, ritorna in Germania e vive il nascere della storia d’amore con Michael Templeton, un giovane ricercatore inglese, nato nel distretto di Ulu Banir, dove il padre vive e gestisce una piantagione. La storia tra i due metterà in luce alcuni aspetti della cultura malese e di quella inglese, là dove anni di dominio britannico non sono riusciti a colmare differenze che sembrano veri e propri pregiudizi. Dopo un lungo periodo di conoscenza Ai Lain viene invitata a trascorrere le vacanze nella piantagione dei Templeton ed è qui, intorno a pagina 70, che avviene l’omicidio attorno al quale si svolgerà tutto il giallo: Cynthia la futura sposa del padre di Michael viene assassinata… ma da chi? Il lettore indagherà insieme ad Ai Lain e la risposta arriverà vent’anni dopo, da lontano, molto lontano. Una voce che Ai Lain credeva non avrebbe mai più sentito si farà portatrice di verità, lasciando al lettore e alla protagonista la convinzione che il percorso verso la luce sia doloroso e pieno di insidie.

Una sorta di Cuore di Tenebra a tinte gialle che piacerà e intratterrà gli amanti del genere: il lettore potrà cimentarsi nell’essere un meticoloso Sherlock Holmes, a caccia di indizi e potrà indagare, oltre che nel romanzo, anche nella storia di un popolo, quello Malese, di cui non ci è stato raccontato abbastanza.

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