Il volume analizza l'evoluzione della politica estera dell'Italia democratica, a partire cioè dal 1945. La diplomazia italiana ha vissuto una lunga fase di basso profilo durante la prima repubblica, che si materializzava in una politica delle alleanze (Nato e Unione Europea) poco coerente, e nell'assenza di priorità geografiche verso i paesi extra-occidentali. Gli studiosi avevano avanzato due ipotesi sul basso profilo italiano: una di tipo internazionale, legata alle costrizioni della guerra fredda, e una di tipo interno fondata sul condizionamento "antisistema" del Partito comunista italiano. Questo studio ha confermato la rilevanza solo della seconda ipotesi interna, soprattutto alla luce della comparazione con la Spagna, un paese con uno status diplomatico simile a quello italiano, ma che era una piccola potenza anche nella guerra fredda (dopo la transizione democratica degli anni '70), perché priva del condizionamento di partiti "manichei" di sinistra, forti come il Pci. In Italia il cambiamento di politica estera si è avuto dunque solo dopo l'89, quando è nato il Partito "democratico" della sinistra, che ha abbandonato l'ideologia socialista anticapitalista e antiamericana del Pci e ha abbracciato quella social-democratica, che ha sempre legittimato sia il mercato che la Nato. Allo stesso tempo, la ricerca ha mostrato che l'Italia non è una media, ma solo una piccola potenza, mentre la Spagna è collocabile a mezza strada tra i due status di potenza. Nella parte iniziale del volume è stata infatti identificata una tipologia, innovativa in letteratura, sui vari status diplomatici: basso profilo, piccola, media, grande e super potenza.
Per ciò che riguarda l'evoluzione negli anni '90, l'analisi empirica ha riguardato i tre livelli della politica estera economica italiana: l'adesione al trattato di Maastricht, il sostegno diplomatico agli operatori economici all'estero, la cooperazione allo sviluppo. Dopo il '94, i governi italiani (sia di destra che di sinistra) hanno assunto posizioni più chiare in materia di integrazione europea (ad esempio rispettando i parametri di Maastricht grazie a politiche più coerenti di risanamento) e hanno selezionato come priorità geoeconomiche i paesi del Mediterraneo e quelli dell'est Europa. Inoltre, la ricerca ha approfondito le riforme delle istituzioni interne di politica estera economica: sull'apparato decisionale interministeriale (con l'istituzione della "cabina di regia" all'interno del Cipe), sugli enti pubblici finalizzati a favorire l'internazionalizzazione dell'Italia (Ice, Sace e Simest) e sulla proposta (poi fallita) di costituire un'agenzia tecnica sugli aiuti allo sviluppo. L'evidenza empirica ha segnalato un livello basso di cambiamento sia in Italia che in Spagna. Entrambi i paesi infatti restano legati a un modello "protezionista" di politica economica, che minimizza le componenti di laissez faire nella proiezione esterna dei rispettivi "sistema paese".
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