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Elogio del pomodoro - Pietro Citati - copertina
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Elogio del pomodoro

Descrizione


Incontri, viaggi e riflessioni sulla storia della nostra civiltà. Un'autobiografia narrata, ricca di incontri e di passioni.

Pietro Citati ha nostalgia dei pomodori che mangiava da bambino, durante le lunghe estati al mare. Il pomodoro era il frutto supremo di quelle vacanze, con le sue forme diverse, complicate, con le sue spaccature e screziature «e talvolta generosi aspetti barocchi, che piacevano ai pittori napoletani del diciassettesimo secolo». Il rimpianto per la propria felice infanzia ha fatto del Citati adulto un osservatore incomparabilmente acuto dei bambini tra i tre e i dieci anni. Passare il tempo con loro è per lui la cosa più divertente della vita: ama i loro pensieri vivaci e paradossali; ama guardarli mentre costruiscono castelli di sabbia e acqua, con torri e alti ponti levatoi, e poi li buttano giù, con le mani e con i piedi, senza nessuna ragione, esattamente come facevano i bambini nell’Iliade.
Insieme ai pomodori e ai bambini, Citati ama i lunghi secoli della civiltà europea. Dai tempi dell’ Odissea e di Erodoto – dice in questo libro in cui si combinano miracolosamente frivolezza e profondità – il volto dell’Europa non è molto cambiato. I nostri caratteri sono immutati: la pazienza, la tolleranza, l’ironia, la straordinaria capacità di trasformarci, recitare, diventare diversi, rimanendo sempre identici a noi stessi. Come pochi scrittori d’oggi, Citati conosce i miti elaborati sul nostro continente. Il più grandioso è quello della melanconia, che nasce in Grecia e si diffonde ovunque in Europa, come se fosse l’ombra dell’attiva e brillante luce occidentale: un grande nodo vibrante di contraddizioni e paradossi che minaccia di distruggerci se non lo accettiamo sino in fondo, senza incertezze e senza ritegni, sino a trarne, come hanno fatto tanti filosofi, poeti, artisti, le leggi e la salvezza del mondo.
Citati non crede a tante interpretazioni moderne della società in cui viviamo. Ci parla della globalizzazione per dirci che in realtà in questi ultimi decenni è avvenuto il fenomeno opposto: il mondo è caduto preda della differenziazione, della frantumazione, della moltiplicazione. Percepisce il senso di decadimento e di vergogna oggi diffuso in Italia, ma subito osserva che il nostro è un paese pieno di eccezioni: al Nord, al Sud, al Centro c’è sempre una piccola oasi, un paese, una cittadina polverosa di secoli, di cui uno, appena li vede, ama le strade, le case, gli orti, e persino i cittadini. A chi lamenta la morte dello spirito dei Vangeli, risponde che da secoli non esisteva nel cristianesimo un nucleo così puro e ardente come quello di oggi. Crede appassionatamente nel dono più vero dell’Europa: quello di capire. Non gli importa, in fondo, se conosceremo la decadenza, se saremo più poveri e consumeremo di meno: è certo che la nostra civiltà continuerà a esistere fino a quando sapremo accogliere, come facciamo da ventiquattro secoli con ogni forza della mente, della fantasia, del corpo, tutte le tradizioni, tutti i miti, tutte le religioni, tutti o quasi tutti gli esseri umani.
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Dettagli

2011
4 ottobre 2011
266 p., Rilegato
9788804613015

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Luca Aquadro
Recensioni: 5/5
Un'autobiografia mascherata?

Nella sua "Prefazione" alle "Notti attiche", l'erudito latino Aulo Gellio se la prese con quegli scrittori che non solo compongono delle miscellanee voluminose, ma danno pure loro dei titoli a effetto. Dando un'occhiata al titolo e poi all'"Indice" di quest'opera di Pietro Citati, il primo (a effetto) ha catturato la mia attenzione (complice anche la bella immagine di copertina, una natura morta del grande Melendez), il secondo mi ha fatto pensare a cinque miscellanee forse unitarie al proprio interno, ma slegate fra di loro in virtù degli argomenti così disparati ("Bambini e mare"; "L'Europa"; "Ventisette anni in Italia"; "Il cristianesimo oggi"; "Piccoli e grandi viaggi"). Tuttavia al termine della lettura mi è parso di cogliere che una certa unità di fondo si possa rintracciare almeno in tre elementi: da un lato nello stile, sempre spigliato e con una certa propensione all'aneddotica come nel Citati migliore; dall'altro nella tendenza, anche qui consueta per l'autore, alla biografia (che qui diventa autobiografia); da ultimo nel gusto se non per la polemica, almeno per la presa di posizione non conformistica. Se dovessi scegliere una singola sezione, opterei forse per quella centrale e più ampia ("Ventisette anni in Italia"), nella quale alcune considerazioni sulle classi dirigenti italiane dell'ultimo secolo sono tanto caustiche quanto veritiere. "Le cose ci stanno assalendo. Non sappiamo dove metterle; e dove disporre i loro rifiuti." (p. 33) "Un buon museo deve essere piccolo, semivuoto, e silenzioso." (p. 97) "i professori universitari trascorrono pomeriggi interi (come accade anche nelle scuole medie) in riunioni, discussioni e litigi interminabili." (p. 157) "L'idea della morte di Dio non dovrebbe preoccuparci. In alcune grandi religioni, gli dèi non sono eterni." (p. 206) "Possediamo un luogo unico: quella piazza, quella chiesa, quel bosco, che il caso ha scelto per noi. Ognuno di noi ha la sua Itaca." (p. 223)

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Conosci l'autore

Pietro Citati

1930, Firenze

Pietro Citati è stato un critico e scrittore italiano. Collaboratore di riviste («Paragone», «Nuovi Argomenti») e quotidiani («Il Giorno», «Corriere della Sera», «la Repubblica»), è stato condirettore della Fondazione Lorenzo Valla. Lettore acuto e raffinato, estraneo a scuole e correnti, coltiva un modello di accostamento mimetico al testo – sulle orme di Sainte-Beuve – capace di ricreare i valori poetici dell’autore analizzato. «Se vogliamo conoscere il senso dell'esistenza, dobbiamo aprire un libro: là in fondo, nell'angolo più oscuro del capitolo, c'è una frase scritta apposta per noi.»In monografie e raccolte di saggi di largo successo Citati ha rievocato grandi...

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