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Anno edizione: 2012
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«È più facile immaginare la fine del mondo che immaginare la fine del capitalismo» costituisce uno dei tanti richiami dello studioso a conferma delle sue affermazioni sulle tendenze del sistema economico in atto e sul loro fallimento, e contemporaneamente della sbornia culturale che le classi dominanti hanno alimentato con successo per imporre al mondo il neoliberismo come la sola alternativa possibile. Oltre a smascherare imbrogli linguistici divenuti senso comune, l’analisi denunzia l’appiattimento delle tantissime diversità culturali, storiche, antropologiche e geografiche schiacciate dal pensiero unico al servizio del capitale che vuole costringere l’intero pianeta a sottostare ai dogmi del neoliberismo, comprimendo la democrazia e saccheggiando le risorse ambientali con il serio rischio dell’estinzione delle specie viventi. È necessario dunque rovesciare il paradigma che si nutre di termini quali “eccellenze”, “competitività”, “produttività”, “misurazioni”, come se tutto fosse a misura di impresa; e – osservazione assai originale degna di un accademico di rango qual è Bevilacqua – occorre una riorganizzazione dei saperi, il ribaltamento della loro progressiva parcellizzazione e la creazione di un ponte fertile fra discipline umanistiche e scientifiche. Il capitolo finale è denso di profonde riflessioni che oscillano fra l’ottimismo della volontà e il pessimismo della ragione, tese a ipotizzare una ripresa di senso, di egemonia e di influenza del campo di una sinistra che esca dai recinti nazionali e guardi a un orizzonte globale.
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