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‘Caro Amico,le dissi a Roma l’ultima volta che pensavo a qualche cosa per Lei. Ho seguitato a pensarci e ho maturato alla fine la commedia, che mi pare tra le mie più originali: Enrico IV, tragedia in tre atti di Luigi Pirandello… Credo che sia d’una veramente insolita profondità filosofica, ma viva tutta in una drammaticità piena di non meno insoliti effetti… Senza falsa modestia, l’argomento mi pare degno di Lei e della potenza della Sua arte. Spero che riuscirò a renderlo, perché l’attività della mia fantasia è ora più che mai viva e piena e forte’. Così Luigi Pirandello, con una lettera del 21 settembre 1921, preannunciava a Ruggero Ruggeri l’Enrico IV. Andato in scena a Milano il 24 febbraio 1922, con Ruggeri nel ruolo del titolo, Virgilio Talli e Lyda Borelli, questo dramma è considerato da molti studiosi l’altro grande capolavoro pirandelliano, insieme ai Sei personaggi, col quale divide il primato degli allestimenti, da settant’anni, in Italia e all’estero (il solo Ruggeri, dal 1922 alla morte nel 1953, lo recitò 318 volte).
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Memorabile serissimo gioco pazzia-sanità, maschera che protegge dal realismo e dai pericoli del vivere fra gli uomini e dualità sfilacciata dove il voler fingere e il dover fingere si danno la mano in una partita di sguardi e di trucchi nei quali la parola mormora e annuncia le sue mille trovate. Specchio, illusione, passato e somiglianza, elementi di una trama imprendibile dove i secoli e gli anni si avvicinano senza una presa autentica nella lucidità del tempo. Un testo favoloso, irrisione e canto stupendo in un delirio studiatamente voluto che copre la volontà di rinuncia al vedere l'orribile verità delle cose. E la tragedia in fondo a decidere le stonate e multiformi contraddizioni della vita, che è teatro sempre, doloroso teatro di noi tutti.
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