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L' entrata in guerra dell'Italia nel 1915 - copertina
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L' entrata in guerra dell'Italia nel 1915
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Descrizione


Gli italiani hanno un rapporto difficile con la guerra. Anche con la guerra che hanno sentito più intimamente, nel bene e nel male: la Grande guerra. Essa è rimasta nella memoria collettiva come "la nostra guerra". Così l'hanno chiamata gli interventisti nel 1915, ma è diventata tale soltanto quando l'hanno fatta propria milioni di uomini, magari maledicendola, nelle trincee. Una guerra che avrebbe creato un enorme potenziale di identificazione nazionale ma che non era desiderata. Ciò che spinge nella primavera del 1915 alla guerra il governo nazional-liberale di Antonio Salandra e di Sidney Sonnino è soprattutto la volontà di conquistare per l'Italia lo status di "grande potenza" nell'area adriatica e balcanica. È un gesto di politica di potenza forte e pieno. È un atto del tutto legittimo secondo la logica geopolitica del tempo. La guerra è dunque voluta e imposta dall'alto dalle autorità istituzionali sotto la pressione di minoranze attive e prepotenti, al limite della legalità. Ma l'operazione di attivazione e mobilitazione dall'alto a favore dell'intervento funziona. La popolazione, inizialmente in gran parte perplessa e incerta, si mostra alla fine disponibile, remissiva, disciplinata. Fa un atto di fiducia nella propria classe dirigente. C'è l'attesa di una guerra breve, risolutiva, vittoriosa. Invece lo "sbalzo offensivo" promesso e atteso dai militari e dai politici nell'estate 1915 manca o fallisce miseramente. La guerra si rivela un azzardo.
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Dettagli

2010
13 maggio 2010
211 p., Brossura
9788815111074

Voce della critica

Questo volume affronta le diverse prospettive con cui italiani, tedeschi e austriaci si sono confrontati con una pagina decisiva, ma forse ingiustamente sottovalutata, della storia novecentesca. Con il proposito di superare alcuni reciproci pregiudizi, legati sia alla diversa percezione dell'evento, sia alla sopravvivenza di alcune mitologie nazionali, i saggi qui raccolti si confrontano su tre temi principali: sul significato storico dell'intervento italiano; sul ruolo effettivamente svolto dall'esercito italiano; e, infine, sulla percezione della guerra nell'area trentino-tirolese. Aprono il volume, e ne costituiscono in qualche misura i due principali fuochi interpretativi, i saggi di Rusconi e di Afflerbach, che forniscono una valutazione di fondo. In linea con quanto già esposto in altri suoi lavori, Rusconi definisce l'intervento come un "azzardo politico", ma respinge il giudizio di Afflerbach, secondo cui esso fu un vano "atto di follia" dettato dal cinismo di Salandra. Seguono poi alcune osservazioni generali di Labanca sugli aspetti militari dell'intervento italiano e un secondo saggio di Afflerbach, dedicato all'esame delle relazioni dell'allora attaché militare italiano a Berlino. Nella terza parte, accanto a un contributo di Calì su Cesare Battisti, spicca infine il saggio di _beregger, che, tramite una prospettiva "dal basso", analizza la percezione della guerra nella società tirolese,alla luce delle paure collettive e dell'azione della propaganda ufficiale. Al di là del valore dei singoli saggi, il maggior merito di questo lavoro consiste nell'aver offerto un brillante contributo alla riapertura del dibattito, a partire soprattutto dal confronto tra le diverse tradizioni storiografiche nazionali.
Federico Trocini

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