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Il libro racconta dell'era Marchionne e di come il marchio Fiat sia poi diventato FCA. Di come l'Italia di fine governo Berlusconi abbia aiutato il manager attraverso incentivi statali e di come, una volta terminati gli incentivi, sia iniziata un'epoca di ristrutturazione aziendale e sindacale. Un uomo che non definirei manager bensì esperto di finanza e che attraverso una serie di cambi di programma, abbia ridefinito il concetto di lavoratore dipendente. Il risultato che ne esce è un quadro complessivo, quello Italiano, dove la democrazia sembra sempre più lontana dalle classi lavoratrici e sempre più appannaggio di pochi oligarchi in grado di influenzare la politica economica di un intero paese. A conti fatti, Marchionne il suo lavoro lo ha svolto e lo ha svolto bene. Quello che non si capisce e come si sia arrivato a tanto, a dover svendere il patrimonio aziendale per convertirlo in contratti temporanei, che sembrano ridurre i lavoratori delle classi semplici a meri pezzi di un ingranaggio e perfettamente sostituibili da manodopera a basso costo proveniente dall'Est Europa, Turchia e Brasile. E dire che il mercato dell'auto Tedesco ha saputo tenere testa ai cambiamenti e investire sull'innovazione anziché concentrarsi sugli asset finanziari, sui contributi statati, sugli ammortizzatori statali ovvero sulla cassa integrazione, inneggiando al capitalismo solamente quando occorreva scaricare il peso di scelte sbagliate sulla classe operaia. Il sunto di questo libro è che il capitalismo ha ceduto il passo al corporativismo, dove la linea di demarcazione tra potere finanziario e potere politico ha finito per scomparire in favore della logica del profitto e del valore azionario. Un libro che non lascia troppo spazio all'immaginazione e che costituisce, a mio avviso, una delle principali ragioni per cui il sindacato sia diventato una lobby dove convergono interessi di classe piuttosto che baluardo a difesa dei diritti dei lavoratori onesti.
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