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Le recenti e meritate disavventure del libro di Ariel Toaff, Pasque di sangue, hanno mostrato bene quanto sia pericolosa e difficile una lettura ingenua delle fonti inquisitoriali per ricostruire credenze e comportamenti devianti del passato. La capacità di quelle fonti di creare oggetti artificiali, e di infondere una falsa certezza sulla realtà delle credenze che si vogliono condannare (in quel caso i riti di sacrificio dei bambini cristiani da parte delle comunità ebraiche), spaventa se ancora oggi, a distanza di secoli, storici di professione si fanno ingannare dal gioco di specchi creato dal meccanismo diabolico degli interrogatori inquisitoriali (con le domande che "diventano" risposte). Naturalmente, questo vale anche per le eresie medievali, anzi soprattutto per queste, perché, come forse non molti sanno, per tutta l'età medievale (dal secolo XI al XIV) non esiste nessuna fonte originale di provenienza autenticamente "ereticale".
Il grande castello della storia dell'eresia in Occidente è costruito su materiale di esclusiva provenienza inquisitoriale: storie, trattati, processi, abiure di ex eretici, bolle pontificie, decreti imperiali e altro ancora. Le dottrine sono trasmesse da giudici e inquisitori, spesso ex eretici convertiti, che parlano "al posto" degli eretici o fanno parlare imputati sotto tortura. Anche dell'eresia per eccellenza, quella catara (la terribile contro-chiesa guidata da un nucleo elitario di "perfetti" caratterizzati da un feroce ascetismo che arriva fino al suicidio programmato), non rimane, di originale, che un breve testo con alcuni passi scelti del Vangelo: un po' poco, per una "chiesa" che era guidata da vescovi e da un papa, e che solo nella campagna veronese annoverava, secondo i calcoli degli inquisitori, più di millecinquecento adepti. Nulla ci resta dalle migliaia di fedeli catari delle città occitane, duramente segnate da una repressione militare condotta dalla chiesa e dal re di Francia nei decenni iniziali del Duecento; e nulla delle centinaia di adepti nelle sviluppate e tolleranti città italiane, più volte condannate per avere non solo protetto gli eretici, ma addirittura averli scelti come guida politica. Di Dolcino, l'eretico più famoso del medioevo italiano, abbiamo solo tre "lettere", fortunosamente conservate (e riscritte) nel trattato del più importante inquisitore del primo Trecento, Bernardo Gui, intento a classificare tutte le possibili eresie del suo tempo.
Insomma, esiste un macroscopico problema di documentazione nella storia ereticale: l'oggetto che si vuole studiare non ha vita autonoma, ma è stato ridefinito dagli stessi persecutori incaricati di cancellarlo. La storiografia recente, soprattutto quella francese e inglese, da tempo sta ripensando le categorie interpretative da usare negli studi sul fenomeno ereticale. Non per negarne in blocco l'esistenza, ma per capire che cosa era "eresia", in che cosa consistevano quelle dottrine che i giudici e gli inquisitori hanno represso senza pietà, convinti di dover estirpare un male così enorme e diffuso da giustificare l'uso della forza e l'eliminazione fisica dei peccatori.
Il libro di Barbara Garofani, con un linguaggio piano e di grande chiarezza, riesce a coniugare i risultati di questa recente revisione storiografica dell'oggetto-eresia con una presentazione informata delle principali dottrine condannate. Si muove con equilibrio coraggioso fra la natura costruita dell'eresia e la ricerca del dato oggettivo che poteva apparire eretico agli occhi dell'inquisitore: un modo di leggere il Vangelo al di fuori e contro la gerarchia ecclesiastica, praticato in alcuni circoli di chierici del secolo XII; la pretesa di partecipare del mistero religioso da parte di gruppi di laici alfabetizzati del primo Duecento; o, ancora, la fascinazione esercitata dalla vita "apostolica" condotta da centinaia di asceti simil-monaci che attraversavano le campagne e le città dell'Occidente medievale; e forse la diffusione di credenze "materialiste" derivate da una lettura estrema delle sacre scritture, che finivano per attribuire al male una sostanza simile a quella divina.
Un insieme di dottrine, di atteggiamenti e di persone estremamente variegato, il più delle volte intesamente cristiano, ma esterno alle strutture della chiesa. Verso questo mondo fatto di persone ed esperienze così diverse, la chiesa ha adottato una politica repressiva a più livelli e, sopratutto, ha condotto una grande operazione di "classificazione" violenta, trasformando le credenze in dottrine, i gruppi in sette, le persone in eretici. L'operazione è riuscita. La naturalezza con cui ancora oggi parliamo di "eretici" come di individui realmente diversi dai credenti ortodossi ci dice quanto sia duratura la costruzione culturale della dissidenza religiosa da parte delle istituzioni medievali. Forse il libro di Barbara Garofani può servire da guida per chi voglia capire la differenza, se esiste, fra una persona e una persona condannata.
Massimo Vallerani
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