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Recensioni Eris

Eris di Luigi Severi
Recensioni: 5/5
"Eris" è la dea della discordia, l'omerica Signora del Dolore, ed è il nome dato a un oggetto ghiacciato orbitante nel sistema solare esterno. «Discordia» è però anche competitività, stimolo all'opera per i pigri umani. L'opera di Severi muove (ci muove) tra mitologia, verbali notarili, appunti di diario e liste di spese, mimesi musicali, lingua del marketing e astrofisica. L'andamento è metodico: schema e paragrafi, contenuto e contenitore, coincidono fino alla luminescenza. Severi è un poeta che verifica continuamente la propria visione, come Pasolini - e, come Pasolini, impone la sacralità laica del mito (quell'impasto di tempo e lontananza) alla borgata sconsacrata, trascina Dafne a Torre Angela e ferma Aracne ai semafori, ottenendo l'effetto della grande poesia, che strania dal presente e immette nel luogo dove, mutati i tempi, nulla cambia. Severi è dunque un classico contemporaneo, un trovatore (Jean Renart, o il troviero del cinema Carl Theodor Dreyer) periurbano e, insieme, un entomologo della natura umana, del suo costante imputridire e splendere, fin da quando è stata registrata la sua comparsa. Il libro è infatti disseminato di masticazioni, digestioni, secrezioni, descrizioni della materia organica di densità quasi fisica (sebbene porti scritto, con una certa ironia, che «il corpo è sopravvalutato») e il bordone monumentale che sottende a ogni parola - dal caos alla sozzura della materia, all'ordine semicieco della ragione, ancora al caos - è l'interrogazione cosmogonica sull'agglomerarsi di una sostanza che tende al nulla, dunque il sospetto che esista poca differenza tra materia e nulla e che il mondo sia l'ombra malriuscita di un altro organismo, più perfetto. Domande come questa, lisce come olio e tempo, fanno vibrare la spina dorsale dell'organismo-libro con la nota continua alla quale ogni poeta mira: un silenzio che capisca e accompagni la solitudine di ogni cosa vivente. (Maria Grazia Calandrone))
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