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Ernesto Balducci. La Chiesa e la modernità - Bruna Bocchini Camaiani - copertina
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Ernesto Balducci. La Chiesa e la modernità - Bruna Bocchini Camaiani - copertina
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Descrizione


Sacerdote e scolopio nella Firenze degli anni Cinquanta, Ernesto Balducci (1922-1992) è, accanto a La Pira, uno degli ispiratori del cattolicesimo sociale e della promozione del dialogo e della pace. Condannato nei primi anni Sessanta per apologia di reato (per la difesa dell'obiezione di coscienza, come poi sarebbe avvenuto anche per don Lorenzo Milani), negli anni del Concilio Ernesto Balducci è stato una delle voci più autorevoli che si sono battute per una riforma della Chiesa. Nel postconcilio fu un interlocutore importante per le comunità di base, per i movimenti politico-sociali, ma anche per alcuni settori della Chiesa istituzionale. A dieci anni dalla morte, il volume ricostruisce, anche con l'apporto di una documentazione inedita, il suo itinerario e rivela aspetti di grande novità della vita della società italiana e della comunità ecclesiale.
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Dettagli

2
2002
7 giugno 2002
306 p.
9788842066620

Voce della critica

Questo denso volume di Bruna Bocchini Camaiani, che insegna Storia della chiesa all'Università di Firenze, non solo ci restituisce con precisione e ricca documentazione l'itinerario umano, religioso e culturale di Ernesto Balducci, ma costituisce anche un capitolo importante di storia della chiesa, e più in generale della nostra storia civile e politica del secondo dopoguerra.

La figura di Balducci viene analizzata fin dai suoi "esordi" come studente del seminario degli Scolopi, negli anni che vanno dal 1938 al 1944: utilizzando con intelligenza le carte dell'Archivio generale dell'Ordine degli Scolopi (aperto alla consultazione fino al 1948), l'autrice ha messo molto bene in evidenza la divaricazione tra il programma di formazione previsto per i seminaristi dello Studentato di Roma e la curiosità culturale di Balducci, che già in questi anni giovanili ambisce a farsi una cultura autonoma e nutrita anche di libri "profani". Altro motivo di originalità del Balducci seminarista, anzi il motivo che segnerà profondamente tutto il suo itinerario spirituale, è il tema dell'obbedienza e del suo nesso con la libertà religiosa, che lo spinge a un atteggiamento fortemente critico verso le cosiddette "virtù passive", e verso l'obbedienza in particolare, anche se non ne disconosce l'utilità.

Dopo la sua ordinazione sacerdotale, tornato a Firenze nel 1945, finalmente libero di saziare la sua "fame di libri", non fa meraviglia che la Firenze di La Pira del secondo dopoguerra gli si configuri come una città ideale, archetipica, "mitica" appunto, per l'impegno in campo sociale e politico del cattolicesimo fiorentino che può essere visto in qualche modo come "anticipatore" del Concilio Vaticano II (anche se Balducci condivideva col "lapirismo" il progetto di ripristinare la "società cristiana", sia pure nella versione ammodernata della "nuova cristianità" di Maritain).

Ma la partecipazione ai convegni per la pace organizzati da La Pira intorno alla metà degli anni cinquanta, miranti a promuovere un incontro e un dialogo tra le culture, permetteva a Balducci di avanzare delle riserve circa l'identificazione del cristianesimo con la cultura occidentale, e, più in generale, di sostenere che non ci fossero culture "privilegiate", adatte più di altre a incarnare storicamente il messaggio evangelico. E così la visione di un cristianesimo che si libera dalla sua "corazza" occidentale, il dialogo con le altre grandi religioni dell'Oriente, e la prospettiva della pace si legano strettamente, delineando una immagine di chiesa che si fa povera, che usa mezzi poveri (anche grazie all'influenza della spiritualità dei Piccoli fratelli di Charles de Foucauld), decisamente "diversa da quella prevalente nella chiesa italiana".

In questo periodo, anche in ragione della sua attività pastorale, emerge con maggior forza e chiarezza il tema della libertà religiosa, che non è più visto soltanto come un problema privato della sua coscienza, ma diviene un impegno rivolto ai suoi fratelli: e così le sue lezioni allo Studio teologico fiorentino diventano un mezzo per portare i laici cattolici "alla consapevolezza di essere parte della chiesa" (istituendo così un legame strettissimo tra libertà e responsabilità). Dopo il lungo esilio romano, durato dal 1959 al 1966, Balducci ritornava a Firenze, anche per l'interessamento di papa Paolo VI (sono noti nella sua vicenda sia i forti contrasti con le gerarchie sia i suoi appoggi "in alto"), radicandosi nella comunità della Badia fiesolana.

Balducci ha vissuto con grande "euforia" la stagione conciliare: la valorizzazione del mondo e della storia, presenti in molti documenti del Concilio Vaticano II, poteva far maturare una nuova e diversa teologia della storia che evidenziasse il comune destino di salvezza di tutti gli uomini e la "certezza (...) che tutto ciò che cresce nella storia tende, per intimo ordinamento, al Regno". Ma questa fiducia in un cambiamento anche interno alla Chiesa si venne progressivamente esaurendo: è molto nota la situazione della diocesi fiorentina sotto la direzione del cardinale Florit, e i contrasti che la sua gestione autoritaria suscitava in molti preti "inquieti".

Il duro scontro televisivo del 1971 tra Balducci e il cardinale Danièlou sulla figura del prete e sulla sua funzione nella società moderna e la decisione di candidare nel 1977 alcuni esponenti del mondo cattolico nelle liste del Pci (decisione avvenuta in una riunione alla Badia fiesolana e che sembrò ispirata da Balducci) portarono la tensione conflittuale fra lo scolopio e le gerarchie ecclesiastiche fino al limite della rottura. "Ancora una volta - commenta l'autrice - era quindi il problema del rapporto chiesa-società a dividere profondamente il mondo cattolico italiano".

Da questo momento in poi Balducci, che aveva scelto di rimanere all'interno della Chiesa, sia pure in posizione critica, "alle frontiere dell'inquietudine", accentua i suoi interessi "politici", che vertono sul dialogo fra le diverse culture, sul destino e sulla funzione delle altre grandi religioni, sul ripensamento critico della storia e della tradizione culturale europea, e soprattutto sulla pace, patrimonio di tutta l'umanità che vedeva gravemente minacciato. Ma, accanto alla sua attività pubblicistica, l'autrice ha ricordato molto opportunamente anche la sua attività di predicatore alla Badia fiesolana e l'importanza delle sue omelie, dove la meditazione sulla morte e lo "scandalo" della croce, che sono centrali nella sua riflessione, si accentuano in questa ultima fase.

L'autrice sottolinea come anche in questo allargamento di orizzonte umano e culturale Balducci non venga mai meno alla sua vocazione sacerdotale (che poi significava non perdere la specificità del cristianesimo). La testimonianza e l'annuncio della Parola si realizzano adesso attraverso l'azione liturgica e la predicazione nella piccola comunità della Badia fiesolana, radicandosi fortemente in una chiesa locale, anche perché pensava che una riforma della Chiesa potesse ormai venire non dai vertici, dalle gerarchie, ma dal "basso", dal popolo di Dio. Negli ultimi anni della sua vita, dunque, la sua azione si è rivolta da una parte ai problemi culturali suscitati da una crescente "globalizzazione", e dall'altra alla cura di una comunità ecclesiale locale, mentre i suoi rapporti con le gerarchie ecclesiastiche si venivano facendo sempre meno stretti e anche, bisogna aggiungere, meno conflittuali, in una sorta di reciproca tolleranza.

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