Questo bel libro deve essere letto cominciando dalla fine. E precisamente dall'appendice, lì dove è riportato il discorso che Ernesto Rossi pronunciò nel 1948, quando si presentò candidato nelle liste di "Unità socialista". A coloro che l'ascoltavano, disse così: "Se volete avere un rappresentante che faccia a Roma il procuratore di impieghi e il sostenitore dei vostri interessi individuali o di gruppo non datemi il vostro voto, perché non vi contenterei. Non risponderei neppure alle lettere con richieste di raccomandazioni
Vi dico che farò la politica che la mia coscienza mi detta di fare
Sta a voi giudicare se quel che la mia coscienza mi detta corrisponde ai vostri ideali ed ai vostri interessi. Se sì, potete darmi il vostro voto con fiducia, perché l'impegno che prendo, lo prendo non con voi, ma con la mia coscienza". Non era una smargiassata retorica. Le parole di quello "strano" candidato si tiravano dietro un bel po' di vicende trascorse che ne erano come la premessa implicita e che garantivano l'autenticità del suo impegno. Nove anni di carcere e quattro di confino per essersi opposto alle soperchierie del fascismo; la quasi completa solitudine per aver detto fieramente no alle lusinghe del totalitarismo rosso e ribadito mille volte il suo no alle prepotenze della clerocrazia nera; e, alla fine, l'incomprensione di tanti che non capivano l'amaro di certe apostrofi rovesciate sull'economia di mercato, mai spenzolata tra l'incenso dei turiboli. "L'economia di mercato spiegava Rossi dà risultati ottimi o pessimi a seconda dell'ordinamento giuridico, entro il quale i singoli operatori si muovono". E tutto questo, tutta questa vita in temeraria controtendenza, solo per assecondare gli imperativi che gli urgevano dentro. Sì, Ernesto Rossi era proprio uno strano candidato. Gli elettori lo capirono bene. E lo bocciarono. Gaetano Pecora
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