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Più che delle doti di romanziere di Ippolito Nievo si esce dalla lettura di queste pagine persuasi delle straordinarie qualità di Carlo Altoviti, che del romanzo in questione è il protagonista assoluto: Falcetto sembra essere riuscito nell'ardua impresa di restituire la parola al celebre ottuagenario, regalandogli in questa circostanza una voce metanarrativa, capace di attraversare il ponderoso testo nieviano, arricchendolo di notizie, interpretazioni, suggestioni. Impresa di interesse non trascurabile, specie in ambito saggistico e ancor più relativamente a un narratore già frequentemente esplorato, in cui l'autore, studioso di Calvino, di narrativa neorealista e di numerosi scrittori nostri connazionali, ha successo in virtù di una sorta di corrispondenza e di comprensione che non esiterei a definire affettuosa o, almeno, elettiva, con le pagine esplorate. Carlo emerge come il portatore di un'
recensioni di Bo, R. L'Indice del 1999, n. 03
- Cecchi, Russo - criticarono il carattere composito e il "cattivo disegno" del romanzo, ne rivalutano la particolare densità e la riuscita coesistenza al suo interno di stili - esistenziali e narrativi - persino antitetici.L'attenzione alla disarmonia diviene dunque la cifra di lettura più attuale delle Confessioni, il modo per intendere la vibrante e multiforme polifonia della sua fluvialità, ma anche il modo in cui il testo costruisce il suo destinatario, lo seduce, con un atteggiamento ovviamente complesso, basculante tra ironia e tentazione apologetica, menzogna e assertività. È dunque "vero testo di confine", afferma Falcetto, "come dimostra la capacità di delineare con un linguaggio psicologico e una problematica morale ottocenteschi (la centralità dalla coscienza e dei doveri) una rappresentazione dell'individuo ricca di suggestioni moderne".
Rossella Bo
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