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L’esercizio ipsilon è una tecnica di allenamento messa in atto nel gioco del rugby per dribblare con finte gli avversari. Avversari interni ed esterni, subdoli e minacciosi, sono quelli continuamente evocati da queste venti poesie: si aggirano tra un dentro che non offre riparo né consolazione, e un fuori pronto all’agguato. Versi tesi in una dimensione di denuncia e di allarme civile e politico, sebbene mai retoricamente altisonanti o proclamatori, e invece allusivi a un pericolo oscuro, accanito (“Sanno tutto / di te che non li vedi”). Talvolta la persecuzione è però plateale, esibita, fiera di sé; una vera “Santa Inquisizione dei Carnefici”: “Sia aperta la caccia alle streghe. / Si versi un po’ d’olio bollente / sugli eretici e i tristi”). Giustamente scrive Paolo Lanaro nell’introduzione che in Strazzabosco viene ribadita la contrapposizione tra un “loro” fatto di sopraffattori e un “noi” costituito da vittime, separati più che da una differenza di classe da una differenza antropologica. La realtà a cui conduce questa distinzione non è però immediatamente decifrabile, dato che la terminologia ricorre frequentemente a sostantivi e attributi che indicano vaghezza, intangibilità, inconsistenza (sabbia, cenere, pulviscolo, remote nuvole), oppure prigionia, chiusura, buio (cantina, tana, sonno, notte, macerie, ghiaccio, ingranaggio, soppressione, detenzione). La successione temporale non è definita con nitidezza (“L’altra volta / è questa stessa volta”), causa ed effetto si invertono nelle azioni e nei pensieri (“poi una / rosa rossa trapassa una spina”, “l’aratro è lì, davanti ai buoi”), ad aumentare sconcerto e timore. Necessario nella sua evidenza è pertanto l’esergo alla silloge tratto dai “Four Quartets” eliotiani: “We had the experience but missed the meaning”, a confermare l’insignificanza e l’incomprensibilità delle storie quotidiane e personali, come di quelle collettive.
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