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Ha ancora senso parlare oggi del «materialismo» da un punto di vista filosofico? E se sì, in che termini? È questa la domanda fondamentale a cui le opere che presentiamo ora al pubblico italiano rispondono in maniera ampia ed esaustiva. L’autore di queste pagine, Josef Dietzgen, è riuscito a dare forma compiuta al dilemma che da Platone ad Aristotele, da Spinoza a Kant, da Fichte a Hegel ha attraversato l’intera filosofia occidentale. E lo ha fatto, come riconobbero gli stessi Marx ed Engels che indicarono in Dietzgen il vero creatore delle basi filosofiche del materialismo, con una radicalità teorica e un respiro dell’interrogazione che lo pone su tutt’altro piano rispetto a quell’incedere cui è ridotta oggi la filosofia in quanto «citatologia». Quest’ultima è infatti rimasta il solo parametro accademico per i concorsi universitari, dal momento che alla filosofia è stato tolto ogni ruolo fondativo della società e della storia. Così questo autodidatta di genio non solo ha risolto e superato con gesto esemplare l’antinomìa tra «spirito» e «materia» su cui si è arrovellato fin dalla grecità il pensiero occidentale, ma ci ha fornito anche uno strumento di comprensione dell’essenza del lavoro mentale umano tuttora indispensabile. Ne emerge così un’immagine del materialismo (storico e dialettico) profondamente diversa e quasi capovolta rispetto alla vulgata ufficiale. Ma a patto che, naturalmente, si sia di nuovo capaci di andare alla radice delle cose stesse. È questa la grande sfida, come evidenzia il curatore Paolo Sensini nella sua ampia introduzione al volume, che ci pone di fronte l’opera di Dietzgen in un mondo inquieto e crepuscolare come quello presente.
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