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«Essere-insieme-in-un-luogo»: con questa espressione Levinas intende porre l’esigenza, oggi più che mai ineludibile, di ripensare la forma, innanzitutto politica e giuridica, della convivenza umana. Se queste parole alludono allo spazio della Città, pensato come luogo della sincronia e della simmetria, nel quale necessariamente tutti i cittadini sono uguali di fronte alla Legge, la provocatoria proposta di Levinas è quella di pensare un’altra origine del Politico, più antica della guerra di tutti contro tutti, combattuta da lupi desiderosi soltanto di affermare la propria individuale libertà e il proprio conatus essendi. Prima di questo insanabile conflitto, il Volto dell’altro, nella sua inerme nudità, rivela la vulnerabilità dell’umano che chiede di essere difesa, protetta, accolta, reclamando un’infinita responsabilità per l’altro cui nessun io può sottrarsi. «Essere-insieme-in-un-luogo» significherà, allora, non tanto limitare la sfrenata libertà di ciascuno, ma la dismisura di un obbligo incondizionato, in virtù del quale il Diritto sarà sempre dell’altro e la Giustizia una promessa mai fino in fondo esaudita, benché non rinviabile. Al di là del Politico, nel Politico, Levinas intende far risuonare nell’«essere-insieme-in-un-luogo» l’esigenza di un’eteronomia radicale, quella che proviene dalla singolarità e dalla differenza irriducibile di ogni altro, che nessuna comunità può cancellare; l’irrompere di un’altra Legge, al di là del Diritto, che Levinas, a partire dalla sua eredità ebraica, chiama Giustizia: la possibilità, inaudita, ma non per questo irrealizzabile, di una «politica messianica».
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