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Era l'ottobre del 1983 quando, sedicenne, acquistai in un'edicola di piazza del Duomo a Milano il primo numero della rivista mensile di fumetti, viaggi e avventure «Corto Maltese», diretta da Fulvia Serra e edita da Milano Libri. Il periodico andava a riempire un vuoto determinatosi con la cessazione della pubblicazione delle riviste «Linus» e «Alter», e si presentava come un prodotto di "gamma alta" per il panorama fumettistico italiano dell'epoca, sia per la curata veste editoriale (albo di ampio formato, a colori su una carta di buona qualità), sia per il fatto che si rivolgeva ad un pubblico colto ed esigente, sia, soprattutto, per la straordinaria cifra artistica dei suoi autori (ma sarebbe più appropriato dire Maestri). Quel primo numero, ad esempio, proponeva i primi episodi di storie (oggi diremmo graphic novels) di Hugo Pratt («La casa dorata di Samarcanda» e «Il segreto di Cristian Bantam», entrambe con protagonista l'avventuriero Corto Maltese), di Guido Crepax («Conte Dracula») e Andrea Pazienza («Finzioni»). Ma ciò che mi colpì veramente fu la strabiliante qualità delle tavole di un artista che ancora non conoscevo, Milo Manara, che disegnava per l'occasione l'inedita «Tutto ricominciò con un'estate indiana»; la prima puntata, completamente muta, aveva un taglio fortemente cinematografico e si apriva con una cruda scena di stupro, cui seguiva un duplice omicidio per vendetta. Negli albi successivi si sviluppava una torbida storia di avventura e dramma familiare ambientata nel New England del Seicento (con chiari richiami alla «Lettera scarlatta» di Hawthorne) che aveva come protagonista la famiglia Lewis (e qui il debito è con «Gli inesorabili» con Lancaster e A. Hepburn). Manara dava sfoggio di straordinaria versatilità, realizzando tavole complesse che non si limitavano alla sola rappresentazione delle solite donnine, ma offrivano anche un'efficace riproduzione di ambienti e paesaggi. A tuttoggi la miglior realizzazione dell'illustratore veronese.
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