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Craghan commenta i quattro libri biblici in questo volume presentando i versetti accompagnati da un'esegesi a tutto campo sottolineandone il messaggio teologico. Vi è una vera e propria ricostruzione del materiale presentato, inoltre non manca di commentare estesamente i capitoli di cui non riporta i versetti per ragioni di spazio. Tutto ciò avviene, cosa per me importante, nel rispetto sequenziale dei capitoli con i versetti riportati o meno. Questi libri biblici sono racconti che vertono sulla tematica dell'identità, che non è tale in quanto centrata su di sé ma nella misura in cui è aperta all'altro, di modo che è solo nell'altro che l'identità propria si costituisce. Siamo vicini al messaggio filosofico di Lévinas in "Altrimenti che essere". Tutto ciò è molto evidente nei libri di Ester, Tobia e soprattutto in Giona e Craghan non manca mai di sottolineare questa tematica che li unisce. Giuditta, pur ammettendo che è nazionalista in linea con quelli dei Cronisti e dei Maccabei, lo allinea agli altri adducendo che l'eroina, inizialmente chiusa nel suo lutto, si apre per difendere la comunità di Betulia assediata, disposta a offrire tutto di sé a rischio della vita, e ritrovando alla fine sé stessa quale espressione di tutta Israele. Ma Giuditta è davvero un libro nazionalista? Ovviamente si, ma tra le righe fino a un certo punto. C’è la presenza narrativamente elevata di Ahior l’ammonita, e per molti tratti Giuditta allude a Rut la moabita, quanto basta per riflettere che anche qui l’identità è nell’alterità e il nazionalismo di di cui è portatore non è poi così granitico come nei Maccabei. Qui Craghan poteva fare di più a mio modesto avviso, ma resta, la sua, una lettura dotta e piacevolissima.
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