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La specialità di P. è di concentrarsi in questi due autori non solo per farne un commento critico, ma anche per interpretarne il pensiero secondo lo spirito del loro tempo, allargando così il discorso su altri autori dando vita a una visione poliedrica e aperta non solo dell'Idealismo ma anche della sua stretta correlazione con il Romanticismo. P. non si sofferma a un resoconto della Critica del Giudizio, ma evidenzia soprattutto le insufficienze del giudizio estetico puro che di per sé non può sussistere se non completandosi in un giudizio logico estetico, in cui il giudizio teleologico sia implicato in quello estetico e viceversa, anche se Kant non ha potuto dichiararlo con sufficiente vigore, forse per il timore di intaccare la ragione teoretica e quella pratica nella loro reciproca autonomia. Notevole il modo in cui P. sottolinea la differenza tra Kant e Schiller riguardo al sublime e alle distinzioni schilleriane del sublime stesso fino ad arrivare al patetico quale fondamento della tragedia. Schiller pur muovendosi nella linea di Kant cerca di seguirlo non stando alla lettera ma allo spirito. Per lui il giudizio estetico ha una valenza oggettiva, in cui vi è il libero compenetrarsi dell'impulso sensibile con quello razionale attraverso la loro determinazione reciproca mediante, appunto, l'impulso estetico dell'immaginazione e del gioco. Ciò implica una vera e propria dialettica della destinazione umana che dal sensibile giunge all'estetico passando attraverso la moralità. L'uomo estetico è al tempo stesso un ideale e una vera e propria pedagogia per indirizzare l'uomo verso l'ideale medesimo mai del tutto raggiungibile. Determinazione reciproca e immaginazione sono concetti mutuati, in tale contesto, da Fichte, anche se in chiave polemica contro il primato della ragione pratica. Non è un testo facile, ma è avvincente perché Pareyson sa esprimersi in un'ottica non solo storiografica ma anche teoretica, nella sua insuperabile e rigorosa ermeneutica.
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