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L'estetica triste. Seduzione e ipocrisia dell'innovazione
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L'estetica triste. Seduzione e ipocrisia dell'innovazione - Fabio Merlini - copertina
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estetica triste. Seduzione e ipocrisia dell'innovazione

Descrizione


Di ossimoro in paradosso, Merlini con garbo ragionativo ispeziona il nostro mondo estetizzato e performante, in cui tutto è merce o aspira feticisticamente a diventarlo. Un mondo, conclude, sempre più inospitale.

«Il libro è uno di quelli che ti fa subito pensare all'intelligenza: c'è un'idea (cosa non scontata al giorno d'oggi) ed è sviluppata con estro e sapienza» - Marco Filoni, Il Venerdì

«Scienza triste»: l’economia non è più riuscita a liberarsi del suo epiteto ottocentesco, che metteva sotto accusa la brutalità di appetiti a malapena dissimulati dall’astrattezza dei principi regolatori del mercato. Motivi analoghi inducono oggi Fabio Merlini a qualificare come «triste» anche l’estetica, sfera a cui di solito assegniamo effetti rasserenanti, se non euforizzanti. La bella apparenza che tanto ci seduce nella scenografia della merce esercita infatti un potere di incantamento che da un lato occulta condizioni di produzione talora neoschiavistiche e offese all’ecosistema, e dall’altro stringe alleanze con i regimi di consunzione del tempo nei quali si estenua la nostra esistenza, convocata in un presente privo di orizzonte. Invece di disinnescarla, l’esuberanza delle cose potenzia la tonalità depressiva dell’innovazione, che vive di caducità indotta attraverso vettori di accelerazione: ogni novità presto confligge con la versione aggiornata di se stessa, condannandosi a rapida obsolescenza e denunciando la consanguineità tra moda e morte già colta da Leopardi due secoli fa. A questa inevitabile «tristezza» cooperano adesso la disintermediazione universale, il dinamismo immobile – immediatezza ostile a qualsiasi differimento – e la stilistica della prestazione, che all’insegna dell’easy style costringe in realtà a una sfibrante mobilitazione cognitiva. Di ossimoro in paradosso, Merlini con garbo ragionativo ispeziona il nostro mondo estetizzato e performante, in cui tutto è merce o aspira feticisticamente a diventarlo. Un mondo, conclude, sempre più inospitale.

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Dettagli

2019
28 marzo 2019
144 p., Brossura
9788833930480

Voce della critica

L’irresistibile seduzione dell’ipocrisia
di Lelio Demichelis

Il titolo dell’ultimo libro di Fabio Merlini – importante filosofo ticinese - è decisamente intrigante (e affascinante è il suo stile di scrittura): L’estetica triste. Ma il sottotitolo lo è ancora di più: Seduzione e ipocrisia dell’innovazione. Perfetta è anche l’immagine di copertina, l’Allegoria della simulazione, di Lorenzo Lippi, opera del 1630.
In realtà eravamo abituati a considerare l’economia (capitalistica) come una scienza triste, o comunque intristente. La definizione risale a Thomas Carlyle che la usò per criticare e denunciare “senza mezzi termini” – pur facendo anche “una odiosa apologia della schiavitù”, come ricorda Merlini – “gli eccessi nefasti di un capitalismo sfrenato nei suoi appetiti e squilibrato nei suoi meccanismi redistributivi”. Perché, invece, anche l’estetica sarebbe oggi triste, se l’estetica è (Merlini) quella “sfera a cui di solito assegniamo effetti rasserenanti, se non euforizzanti”? Perché, ecco la risposta, l’estetica capitalistica e tecnica è fatta non per l’uomo, ma per il capitalismo (quindi per produrre profitto ad accrescimento infinito, attraverso il lavoro alienato dell’uomo) e per la tecnica come apparato (principio di accrescimento e di convergenza di uomini e macchine in una mega-macchina altrettanto alienante, noi passando dall’uomo appendice delle macchine di ieri all’uomo ibridato/integrato con le macchine e totalmente sussunto nella tecnica).
Le merci, dunque e il loro fascino, il loro potere di seduzione, ma anche – appunto - la loro estetica triste. Le merci come sirene che ci attraggono con il loro canto e con l’immagine che di sé producono per noi – e a questo servono marketing e pubblicità: a produrci come serviamo al sistema, cioè consumatori in servizio permanente effettivo e a produttività di consumo sempre maggiore, oggi h24 e 7 giorni su 7. La scenografia della merce, la vetrina, oggi la rete – l’estetica delle merci, appunto - servono a produrre incantamento (il nostro incantamento) davanti a queste merci, per trasformarle in valore di scambio, quindi in profitto privato, quindi in valore. Perché consumare è un lavoro (altrimenti si fermerebbe la produzione) che dobbiamo svolgere incessantemente, ma il sistema è così abile che ci fa sembrare questo lavoro un piacere esistenziale o un modo di essere e di vivere, trasformando appunto le merci in qualcosa capace di creare emozioni, più che di soddisfare un bisogno. Alla fine, noi stessi finiamo per considerarci una merce tra le merci, entrando nella vetrina ed estetizzando anche noi stessi come merci (mettiamo in vetrina il nostro capitale umano, il nostro valore di scambio - non noi stessi), es-ponendoci al pubblico.

Recensione completa su Alfabeta2

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