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recensione di Magri, T., L'Indice 1995, n.11
Per la loro storia naturale e sociale, le nostre idee morali funzionano al meglio se applicate alle relazioni fra attori individuabili indipendentemente, con motivazioni e credenze riconoscibili, dotati di una minima razionalità e di un potere reciproco non trascurabile. Questo ci rende difficile riflettere sui doveri verso noi stessi, gli animali e i soggetti umani non senzienti; o sull'eutanasia e l'aborto. Lo stesso vale per i doveri verso le generazioni future: infatti, se sono abbastanza distanti nel tempo, esse non hanno potere nei nostri confronti; vi è incertezza circa le loro preferenze; e l'identità degli individui che le compongono varia in funzione delle nostre scelte. Il libro di Giuliano Pontara è una guida preziosa a questo problema, filosoficamente intricato e praticamente importante. Informa circa i fatti più rilevanti riguardo alle conseguenze future di azioni politiche e sociali. Difende la tesi della nostra responsabilità piena verso le generazioni future, nei cui confronti abbiamo doveri, riferiti alla qualità della loro vita, che non sono attenuati o comunque modificati dalla distanza nel tempo. Esamina tre teorie che si propongono di fondare e articolare tale responsabilità: contrattualismo, teoria dei diritti e utilitarismo.
Pontara sottopone le due prime teorie a una critica brillante e minuziosa, i cui risultati nella sostanza condivido (richiamo l'attenzione del lettore sulla bella discussione delle teorie dei diritti e del problema della non-identità). Mi fermo quindi sulla posizione favorita da Pontara, l'utilitarismo "impersonale, edonistico, totale e dell'atto" (senza ovviamente pretendere di rendergli giustizia: si deve vedere, dello stesso autore, "Filosofia pratica", Il Saggiatore, 1989).
Pontara osserva che l'utilitarismo include il principio dell'irrilevanza etica del tempo, e che questo è importante per la possibilità e l'estensione dei doveri verso le generazioni future. L'idea di sconto del futuro sul presente è accettata da Pontara, in ragione dei "costi di opportunità", limitatamente ai costi e benefici economici di un individuo. È respinta, invece, per il "valore, non economico, del soddisfacimento dei suoi desideri o delle sue preferenze, o del suo benessere futuri", poiché tale valore consiste nella qualità edonica degli stati mentali, nel piacere e nel dolore, la cui intensità è indipendente dal tempo. Per l'utilitarismo sono tali stati di esperienza, e non le persone, a contare dal punto di vista morale. Considerato in questa luce, trovo poco persuasivo tale principio. Può essere che, come stati esperienziali isolati da ogni contesto causale, piaceri e dolori contino soltanto per intensità e durata. Ma proprio questo li rende sospetti come concetti normativi. Dopo tutto, gli uomini agiscono in contesti causali in cui il principio temporalmente parziale dei "costi di opportunità" offre una guida ben più sicura della considerazione di un benessere concepito in modo da risultare temporalmente neutrale - e se è così, tanto peggio per tale concetto di benessere.
Pontara distingue l'utilitarismo come teoria etica che "stabilisce le condizioni necessarie e .sufficienti dell'agire moralmente retto, doveroso e sbagliato" dall'utilitarismo come "metodo di deliberazione". Questa distinzione potrebbe essere usata per difendere la concezione del valore intrinseco come qualità di stati mentali. Credo invece che le difficoltà si compongano: una simile distinzione fra teoria del valore e metodo di deliberazione non funziona meglio, per la guida dell'azione, di una concezione puramente mentalista del valore. In situazioni morali con una struttura strategica (o comunque complessa) non è possibile distinguere ragioni oggettive o intrinseche di agire dalle procedure di decisione degli individui, e la distinzione proposta non è appropriata. Anche l'utilitarismo classico (sia per questi problemi di fondo, sia per alcune sue conclusioni controintuitive, peraltro risolutamente difese da Pontara) non mi sembra quindi fondare e determinare in modo soddisfacente i nostri doveri verso le generazioni future. Ma non credo che questa conclusione scettica sia poi estranea allo spirito di sottile analisi del libro di Pontara, nonostante la sua dichiarata e argomentata presa di posizione utilitarista.
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