Ora che la questione tedesca ha riconquistato la scena, giova ripercorrere le fasi che nel dopoguerra recente hanno contrassegnato il rapporto non lineare tra Germania/e e integrazione europea. E questo volume è un ottimo strumento per comprendere, sulla scorta di una documentazione di prima mano e di una lettura scevra da tendenziosità, ogni passaggio di impostazione diplomatica e ogni sottigliezza di visione politica. Che la Brd sia stata un osservatorio privilegiato e un sintomatico campo di verifica dell'andamento del processo d'integrazione è più chiaro che negli anni passati. Eppure l'"anomalia tedesca" non ha sollecitato gli storici nella misura auspicabile. Probabilmente a causa dell'oscillazione ben percepibile nel senso comune tra una sorta di incubo e la secca attuazione di un disegno di interessato dimensionamento di un temibile "stato di potenza" (Machtstaat) alla scala d'una "potenza civile" (Zivilmacht), in pacifica sintonia con l'inquieto vicinato. Questa approfondita inchiesta copre gli anni dal 1949 al 1966 e quindi comprende l'era adenaueriana nell'intero suo svolgersi, allorché l'europeismo divenne "una fonte di legittimazione imprescindibile", un'"ideologia di riserva" (Ersatzideologie), con l'ambivalenza che il termine contiene, secondo le convinzioni di chi via via l'ha assunto. L'entrata in scena di De Gaulle introdusse una novità di non poco conto. Da parte del cancelliere tedesco, però, non si accettò la linea che puntava a una terza forza, ma si preferì costituire un asse finalizzato anzitutto a "scongiurare la disgregazione del blocco occidentale". In ciò preparando la declinazione "atlantica" del tema, incarnata con piglio da Ludwig Erhard. Sicché si può sostenere che fra integrazione europea e cooperazione atlantica si stabilì una stretta complementarietà. Roberto Barzanti
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