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L' Europa dopo Roma. Una nuova storia culturale (500-1000) - Julia M. H. Smith - copertina
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L' Europa dopo Roma. Una nuova storia culturale (500-1000)
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L' Europa dopo Roma. Una nuova storia culturale (500-1000) - Julia M. H. Smith - copertina
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Descrizione


Questo volume propone una reinterpretazione del mezzo millennio (500-1000) che sta tra la fine dell'impero romano e la rinascita dell'Europa cristiana, periodo comunemente considerato intermezzo di decadenza e frammentazione, "secoli bui". L'autrice sostiene che quel periodo è in realtà caratterizzato da grandi e importanti trasformazioni oltreché da marcate differenziazioni locali. La sua indagine si appunta non tanto sulle vicende politico-istituzionali o economiche ma esamina, secondo un approccio più antropologico, comportamenti e valori. Lavorando rigorosamente su fonti d'epoca, l'autrice mette così in luce la condizione dell'umanità del tempo rispetto all'ambiente in cui viveva, le dinamiche demografiche, le risposte alle calamità; poi le relazioni interpersonali: l'amicizia, la parentela, i rapporti fra i sessi; le gerarchie sociali; le concezioni del potere. Ne viene il convincente ritratto di un'epoca multiforme che sta per molti versi all'origine delle diverse specificità culturali dell'Europa.
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Dettagli

2008
436 p., ill. , Rilegato
9788815125132

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Stefano S.
Recensioni: 5/5

A mio avviso, a tuttoggi, il miglior testo sulla società dell'alto medioevo occidentale dal punto di vista della storia culturale e sociale.

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Daniele
Recensioni: 5/5

Questo libro dovrebbe essere letto dopo "La formazione dell'Europa cristiana" di P. Brown. Il libro copre un periodo di tempo leggermente diverso (VI - X secolo contro IV - VIII secolo del libro di Brown)e l'impostazione e leggermente differente, ma la tematica di fondo è simile: l'alto medioevo vide una frammentazione delle attività sociali, economiche, politiche, religiose, che lungi dall'essere un semplice preludio ad un rinnovato splendore dell'Europa nel basso medioevo, è di per sè un periodo caratterizzato da caratteristiche di sviluppo tutte sue, meritevoli di essere analizzate senza ulteriori termini di paragone. La Smith affronta l'arduo compito suddividendo le tematiche demografiche (lingua, territorio), sociali (uomo/donna, signore/servo), economiche e religiose in differenti capitoli, tutti leggibili nell'ordine che ciascuno preferisce, ognuno ricco di informazioni ed analisi dettagliate nello spirito di una storiografia profondamente debitrice dell'antropologia e della sociologia così in voga negli ultimi anni. La bibliografia dimostra quanto materiale storiografico sia a disposizione senza traduzione italiana disponibile, purtroppo.

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Voce della critica

In questa ampia e aggiornata sintesi convergono interpretazioni che, per quanto ancora fatichino a imporsi nella cultura comune, sono ormai ampiamente condivise tra i medievisti: il dinamismo dell'incontro tra Romani e barbari e il persistere dell'influenza culturale romana, la molteplicità delle sperimentazioni socio-economiche e politico-istituzionali medievali e il loro carattere locale o comunque circoscritto, le strette relazioni esistenti tra l'esercizio del potere politico-economico e la produzione e conservazione dei testi scritti. Il pregio della ricerca di Julia Smith può allora essere rintracciato, più che nella "novità" del suo approccio, nella perizia con cui la studiosa riesce a seguire le molte sollecitazioni che, nel medioevo, presiedettero alla costruzione di criteri socio-culturali – fossero essi finalizzati a definire l'identità di un popolo, a legittimare una stirpe regnante o a giustificare l'asservimento di individuo a un altro – e a rimarcarne inoltre il senso sempre mutevole. Pur sottolineando la forte attrattiva esercitata dalla cultura romana nei confronti delle diverse popolazioni europee, l'assunto interpretativo da cui muove questa ricerca è il carattere dinamico e non lineare che qualifica gli incontri tra culture diverse e che ne determina i conseguenti sviluppi.
Si tratta di un libro che prescinde da rigide costruzioni diacroniche e da delimitazioni geografiche e terminologiche. Il concetto stesso di cultura è qui adottato nella sua accezione più ampia: come fluido patrimonio di valori e di pratiche intellettuali, sociali e materiali. Ne consegue un percorso di ricerca che volutamente tralascia la dimensione filosofico-letteraria per svilupparsi, attraverso continui spostamenti temporali e regionali, su quattro ampie aree tematiche: i condizionamenti causati dagli strumenti di comunicazione, dall'ambiente e dal clima (capitoli I e II); la natura dei vincoli familiari e sociali e il rapporto tra uomini e donne (capitoli III e IV); le forme di produzione e di gestione della ricchezza e del potere (capitoli V e VI); la profonda correlazione, esaminata qui nelle sue ricadute ideologiche, tra cristianesimo e istituzioni politiche (capitoli VII e VIII). È un orizzonte di indagine certamente complesso, ma che risulta costantemente verificato e sostenuto da un amplissimo ricorso a fonti di genere diverso (testi agiografici ed epistolari, compilazioni giuridico-legislative, norme e atti conciliari), a loro volta integrate con dati desunti dagli scavi archeologici, dalla produzione artistico-artigianale, dall'architettura.
Una simile impostazione trova piena coerenza e rispondenza nelle delimitazioni geografiche e cronologiche adottate. L'allargamento della ricerca dalle zone gravitanti sul bacino del Mediterraneo occidentale a quelle aree che – come l'Inghilterra centro-settintrionale, l'Irlanda, la Scandinavia, le terre al di là del Danubio – conobbero solo parzialmente, o solo tardivamente, l'influsso culturale romano, restituisce un'immagine dell'Europa anzitutto come spazio umano, percorso da mediatori culturali che potevano essere costituiti da popoli in migrazione, da missionari, da semplici mercanti in cerca di guadagno. Uno spazio in cui anche i confini geopolitici, religiosi ed economici, quando esistevano, vanno considerati come spazi porosi, capaci di agevolare, piuttosto che di limitare, l'interscambio culturale. Il capitolo I, in cui lo spostamento delle frontiere linguistiche tra i secoli VI e XI è analizzato parallelamente all'elaborazione di strumenti capaci di coniugare esigenze comunicative diverse, che fossero di carattere religioso, politico o più semplicemente finalizzate a superare il divario tra mondo dell'oralità e mondo della scrittura, ne costituisce, da questo punto di vista, un felice esempio. Anche i limiti temporali scelti, nonostante l'autrice ribadisca in più di un'occasione il loro carattere arbitrario, hanno una precisa giustificazione. Se la data del 476 d.C. ha ormai perduto da diversi decenni il suo valore storico-simbolico come momento di passaggio dall'antichità al medioevo, il secolo VI permette allo sguardo dello studioso e del lettore di aprirsi su un'età in cui "l'Europa era postimperiale ma non per questo postromana". Sull'altro versante, assunto il carattere spesso circoscritto delle esperienze medievali e la funzione svolta al loro interno da un cristianesimo capace in egual misura di rigidità e di adattamento alle tradizioni regionali, il pieno secolo XI si configura allora come età in cui tale ricchezza di sperimentazioni e di localismi tende progressivamente a venir meno: ciò accade di fronte all'affermarsi di poteri politici che tendono a costruire egemonie e di fronte a una chiesa impegnata nell'affermazione di una monarchia papale dall'ideologia universalistica.
Alberto Ricciardi

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