Con questo lavoro per largo ensemble Paolo Botti non cambia rotta, anzi, sviluppa e affina il progetto musicale volto al recupero in chiave contemporanea del blues, iniziato nel 2008 con “Looking back” e proseguito quattro anni dopo con “Slight imperfection”. Del suo storico quartetto sono rimasti sia Dimitri Grechi Espinoza che Tito Mangialajo Rantzer, mentre Filippo Monico è stato sostituito alla batteria da Zeno De Rossi. L’indovinata aggiunta alla formazione base di tre fiati (Luca Calabrese, Tony Cattano, Edoardo Marraffa) ha consentito di arricchire con nuovi colori la già variopinta tavolozza espressiva di Botti, che continua ad alternare alla viola, suo principale strumento, banjo e dobro. Pubblicato come tutti i suoi precedenti album da Caligola, “La Fabbrica dei Botti”, progetto ambizioso e impegnativo, è stato realizzato grazie anche al supporto di Rai RadioTre, che prima lo ha registrato dal vivo, e poi mandato in onda. Non ha voluto far cadere l’entusiasmo di quella serata il leader, che appena due mesi dopo s’è chiuso in studio per registrare quella musica con la medesima formazione. Tutto è sembrato funzionare alla perfezione, dai serrati bop colemaniani di Aprile al Trotter e Roll, al blues “sudato” di Son, od a quello più disteso di Prima che torni. Va segnalata la ripresa di Lenor, composizione tratta dal disco del debutto. Sono intrisi di nostalgico lirismo, anche per l’aggiunta della fisarmonica di Mariangela Tandoi, gli ultimi due brani dell’album, che sono un’originale rivisitazione di una raffinata ballad ellingtoniana, Angelica, dove “canta” anche la batteria di Zeno De Rossi, e l’accorata sommessa preghiera di E così sia, chiusura quanto mai appropriata di un lavoro riuscito, intriso di echi mingusiani, che non mancherà di lasciare il segno.
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