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scheda di Christillin, E., L'Indice 1995, n. 4
"Aprite qualche cadavere": le parole con cui Michel Foacault intitola l'ottavo capitolo di "Nascita della clinica" potrebbero essere la continuazione ideale della ricerca che Andrea Carlino ha dedicato all'anatomia rinascimentale. Nel suo volume "La fabbrica del corpo", l'autore intende infatti ricostruire la tormentata storia delle dissezioni praticate sul corpo umano durante i tre secoli (XIV, XV, XVI) che aprirono la via ai rigori controriformisti, secoli contraddistinti da dubbi, timori e passioni, dove la brama di conoscere cominciava a sfidare - tra mille difficoltà - barriere e divieti psicologici, antropologici, sociologici e culturali. Il risultato di quest'analisi di lungo periodo ha però restituito allo storico non l'immagine di un processo evolutivo dell'anatomia quattro-cinquecentesca, bensì quella di una lunga stagnazione, frutto di inerzie, costrizioni e paure.
Abbandonato di conseguenza il progetto di un progresso scientifico e cronologico di cui seguire le orme, Carlino ha preferito percorrere a ritroso, in un'indagine che egli stesso definisce "archeologica", le vie che hanno costantemente ricondotto i medici rinascimentali nelle braccia di Aristotele, Ippocrate e Galeno, attenti a non sconvolgere con innovazioni sconsiderate il paradigma dissettorio prescritto da una tradizione millenaria.
Quali dunque i motivi di blocchi e ritrosie, quali gli ostacoli e le inibizioni? L'autore individua attraverso un attento esame di fonti iconografiche - in particolare i frontespizi dei trattati di anatomia - , di procedure e pratiche inerenti a dissezioni e autopsie di testi di storiografia medica e chirurgica, quello che egli stesso definisce "il disagio dell'anatomia", che "cela il proprio fondamento antropologico in argomentazioni di carattere religioso, epistemologico o sociale". Se è difficile ottenere un corpo - solo quelli dei condannati a morte e non più di una volta l'anno - ancora più difficile risulta dunque, per un medico illustre ben lontano socialmente dal povero chirurgo-barbiere-flebotomo, sporcarsi le mani e contaminarsi l'anima tagliando i visceri e le membra di un morto.
Il punto di frattura con le tesi dei grandi classici lo offre, nel 1543, il medico fiammingo Andrea Vesalio; sulirontespizio del suo trattato, "De humani corporis fabrica libri septem", il cattedratico è infatti raffigurato con le mani nelle viscere di un cadavere, intento a praticarne personalmente la dissezione di fronte ai suoi allievi. Dichiarazione d'intenti non seguita però, come dimostra Carlino, da un'effettiva applicazione pratica; bisognerà infatti aspettare due secoli perché l'illuminato cardinale Lambertini - papa Benedetto XIV - conceda un'apertura ufficiale alla pratica anatomica, evitando che, impediti da regolamenti e divieti, studenti e chirurghi continuassero a "strapazzare li cadaveri per loro instruzione secondo l'antico Costume", come cita - all'inizio del Settecento - il regolamento di un ospedale torinese.
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