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Tra i giovani poeti polacchi, Krystina Dabrowska si è messa in luce per la semplicità della sua scrittura, vivace e ironica, attenta alle persone, curiosa verso ogni avventura del cuore e del pensiero, estranea alla metafisica e alla profondità meditativa: una scrittura energica, in movimento, immersa nel quotidiano. La sua poesia, così legata alla visualità, è debitrice a una formazione artistica di tutto rispetto: Krystyna, esperta di pittura, viaggiatrice e fotografa, si è laureata all’Accademia delle Belle Arti di Varsavia, e proprio nel ritratto ha trovato il suo particolare accento interpretativo. «Variazioni sul tema dello sguardo, di uno sguardo declinato in tanti modi diversi», commenta il prefatore Leonardo Masi: «Da che punto guardare per vederti? / Da vicino o da lontano? E da che tempo? / Se mi allontano per inquadrarti / dalla testa ai piedi, come una tela sul cavalletto, / sento che sei tu a prendermi, / a cambiarmi, aggiungere e togliere colore». Il guardare della poetessa si misura con il fuori da sé. Nella metropolitana. A Gerusalemme, davanti al Muro del Pianto. Su due persone nel parco e due uccelli sugli alberi, diversi e uguali nell’essere indifferentemente coppie. Su una venditrice di scope. O nel bellissimo trittico dedicato al vicino di casa, «un professore / a cui è morta la moglie // … un signore impeccabile / che attraversa la sua vita ordinata / come ogni mattina attraversa il cortile». Tante facce, in questi versi, e dietro le facce tante storie. Anche la storia di una Polonia ferita, divisa, straziata da persecuzioni e dittature, ma raccontata con inquadrature di sbieco, spiazzanti e pudiche, come in improvvisi flash di una Polaroid recuperata dal ripostiglio. Così si propone di fare Krystina, nei suoi versi, fissando facce e gesti, silenzi e urla, solitudini e affollamenti. Con un occhio che è il suo, e avvicinandola agli altri contemporaneamente la allontana, distanziandola anche da chi ama e da chi è amata.
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