"Hans Ulrich Obrist è veloce. Insonne. Infaticabile. Curioso. Enciclopedico. Avventuroso. Ossessionato. Posseduto. Maratoneta olimpico dell'arte. Vulcanico. Sorprendente. Amante dell'arte. Esploratore. Pieno di medicine. Catalizzatore. Intervistatore senza fine. Ossessionato dai libri. Hans Ulrich è un essere umano". È con questa sequenza martellante di parole che l'artista Marina Abramovich descrive in una sua videoperformance quello che oggi è il più noto, dinamico e onnipresente curatore nel sistema internazionale dell'arte contemporanea. Il titolo del video, The Curator is Present. The Artist is Absent, sottolinea con una certa ironia come il protagonismo dei curatori di successo, quelli considerati più influenti, tenda addirittura a sostituirsi a quello degli artisti, un po' come succede per i registi dei film nei confronti degli attori. Non è proprio così, ma certo il loro ruolo è diventato decisamente cruciale nella regia e per la messa in scena dello spettacolo dell'arte , per cercare di dare un senso complessivo al vitalissimo e caotico intreccio della produzione creativa che ha ormai una portata globale. Di questa categoria, oggi, Obrist è il rappresentante emblematico, la stella polare dei colleghi più giovani ansiosi di emergere: ha raggiunto una notevole posizione di potere, ma questo "potere di sistema" lo ha sempre interessato solo nella misura in cui è la condizione per realizzare con sempre maggiore libertà i suoi progetti. E leggendo questa sua biografia ci si rende conto che la sua avventura curatoriale è stata animata fin dall'inizio da una vocazione totalizzante, da una passione ossessiva e bulimica, e da un'inesauribile energia esplorativa sempre illuminata da un'intelligenza aperta a tutti i campi del sapere e da una ferrea volontà di riuscire a capire e interpretare la realtà, l'essenza dello Zeitgeist postmodernonella dimensione specifica della creatività artistica figurativa. Per fare questo ha adottato una strategia esistenziale e operativa nel segno della mobilità perenne: continui viaggi prima in Europa e poi in tutto il mondo; accumulazione di conoscenze, dati e informazioni attraverso letture enciclopediche e visite a musei, gallerie, monumenti, e studi; e un frenetico impegno nella costruzione di conoscenze e relazioni con tutti i protagonisti del mondo dell'arte (in primis artisti, critici e direttori di musei), ma anche con filosofi, scrittorie e scienziati di tutte le generazioni. Lo strumento fondamentale per questo lavoro di relazione è stato ed è ancora quello delle interviste, che gli hanno permesso di avvicinare le persone che lo interessavano, di imparare da loro in una forma diretta e vivente, e anche soprattutto di stringere amicizie e innescare collaborazioni produttive. Il suo archivio di interviste (di cui solo una parte è stata pubblicata) è impressionante. Comprende praticamente tutti i maggiori critici curatori e artisti viventi, della vecchia e nuova generazione, e grandi figure della cultura tra cui (solo per fare qualche esempio) filosofi come Gadamer, Ricoeur, Glissant e Lyotard, storici come Hobsbawm, scrittori come Nathalie Sarraute e Doris Lessing, scienziati come Francisco Varela e Anton Zeilinger, e tanti architetti come Neimeyer, Price, Isozaki, Gehry e Koolhaas, Hadid. La curiosità onnivora per i saperi si è tradotta addirittura nella realizzazione di festival polifonici della conoscenza interdisciplinare, dei cicli di conferenze e conversazioni multidisciplinari della durata di ventiquattro ore (Serpentine Marathon alla Serpentine Gallery di Londra, di cui Obrist è condirettore dal 2006). Queste "maratone", trasformate in vere e proprie performance corali sono state organizzate all'interno di spazi architettonici temporanei progettati ogni anno da una archistar diversa (Hadid, Koolaas, Eliasson e Thorsen, Gehry). Sono eventi, all'incrocio fra dimensione figurativa, architettonica e teorico-culturale, che sembrano mirare alla realizzazione di un'innovativa concezione di una Gesamtkunstwerk sempre fluida e in progress. Anche in tutti gli altri suoi progetti espositivi la collaborazione e l'elaborazione comune di idee con amici artisti e curatori, è l'essenza del modo di procedere di Obrist, che in effetti è contro l'idea del curatore "autore creativo" che utilizza gli artisti per un suo disegno personale. E fin dall'inizio puntualizza la sua posizione: "Io non penso che l'ideatore di mostre partorisca idee geniali alle quali le opere degli artisti debbano poi adattarsi. Il processo, al contrario, incomincia sempre con una conversazione, in cui io chiedo agli artisti quali sono i loro progetti inattuati, dopo di che si tratta di trovare i mezzi per realizzarli". E ancora: "Compito del curatore è raccordare, fare in modo che elementi diversi entrino in contatto fra di loro: lo si potrebbe definire un tentativo di impollinazione fra culture, o un modo di disegnare mappe che schiude percorsi nuovi attraverso città, un popolo, o un mondo". Insomma, il curatore si pone come catalizzatore di energie e stimoli creativi di artisti con cui raggiunge un'efficace sintonia, e poi si attiva per elaborare i progetti come piattaforme e dispositivi in format espositivi sempre il più possibile innovativi e destabilizzanti rispetto ai canoni sperimentati. In questo senso sono state concepite molte mostre caratterizzate da spiazzanti collocazioni in spazi e contesti non ufficiali. Ecco alcuni fra gli esempi più radicali. Insieme ad amici come Boltanski e Fischli & Weiss, arriva a realizzare una mostra "privata" nella sua cucina, con piccoli lavori di un gruppo di artisti. Con spirito analogo, all'inizio degli anni novanta, fa di una camera dell'Hotel Carlton Palace di Parigi la sede di un'esposizione con opere di vari artisti che si aggiungevano una dopo l'altra. Altre piccole mostre sono state realizzate in un albergo di montagna che Robert Walzer frequentava, oppure nella casa di Nietzsche a Sils Maria (con foto di Gerhard Richter). Nel libro l'autore descrive anche i dinamici processi attraverso cui arriva a realizzare le sue esposizioni più spettacolari, tra cui la ben nota Cities on the Move, mostra itinerante nelle città asiatiche (curata insieme a Hou Hanru nel 1995); e la serie intitolata Migrateurs, con varie piccole mostre sorprendenti dentro lo spazio ufficiale del Musée d'Art Moderne de la Ville di Parigi, dove è stato per qualche anno curatore. Ai capitoli dove parla della sua attività espositiva si alternano, in modo libero ma anche coerente, quelli dedicati ai suoi principali punti di riferimento per quel che riguarda la specifica formazione professionale, tracciando una sua personale storia dei curatori. Obrist parla di direttori di musei e curatori storici (Alexander Dorner del museo di Hannover, Willem Sandberg dello Stedelijk Museum e Walter Hopps) e in particolare dei suoi "mentori" come Suzanne Pagé e soprattutto Harald Szeemann, prototipo del curatore contemporaneo giramondo. Francesco Poli
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