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Chi si imbattesse nella figura di Gini potrebbe chiedere lumi a uno strumento fondamentale per avere ragguagli sui protagonisti della storia d'Italia, il Dizionario biografico degli italiani. Da una voce recente apprenderebbe le tappe della carriera e i meriti scientifici e persino pratici del primo direttore dell'Istat. Qualcosa resterebbe tuttavia in sospeso. Grazie a questo volume, la traiettoria viene collocata nei contesti dell'epoca: il conflitto interno ai campi disciplinari della statistica, della demografia e della sociologia, tanto in Italia quanto su scala internazionale; il rapporto fra questi campi e il mondo circostante, in primo luogo la sfera della politica. Due dimensioni cruciali, entrambe sottaciute dalla voce biografica e affrontate da Cassata con l'ausilio di un fondo recentemente acquisito dall'Archivio centrale dello Stato.
L'ascesa scientifica di Gini è fulminea. Forte di una competenza pluridisciplinare e capace di sintetizzare in una teoria ciclica delle nazioni i due indirizzi, ottimista e degenerazionista, prevalenti nella demografia italiana delle origini, Gini diviene libero docente a ventiquattro anni (1908) e sale in cattedra l'anno successivo. Dopo l'esperienza da volontario, che ispira anche una teorizzazione dell'utilità sociale della guerra, si propone come interlocutore alle forze nazionaliste: fra 1921 e 1922 presiede una commissione sulle materie prime della Società delle nazioni, celebrando la forza e il diritto all'espansione coloniale. Con l'affermazione del fascismo Gini si colloca al centro del campo statistico-demografico: alla cattedra a Roma, si affiancano l'individuazione dinanzi a una platea statunitense delle "basi scientifiche" del fascismo, e la firma, unico fra i cultori delle sue discipline, del manifesto fascista gentiliano del 1925. La torsione politica non è orpello esterno, né omaggio allo spirito dell'epoca, ma è già ben presente all'interno del sapere costruito da Gini: la sua statistica rifugge gli sviluppi anglosassoni (matematizzazione e campionamento) ed è indirizzata alla previsione dei fenomeni di popolazione, al loro governo e alla formazione dei quadri amministrativi. Non sorprende che nel 1926 sia chiamato alla direzione del nuovo Istituto centrale di statistica e che lo stesso Mussolini si valga dei suoi consigli, specie nella gestazione della politica popolazionista, sancita nel 1927 dal discorso detto "dell'Ascensione". Anche un'altra iniziativa, il Comitato italiano per lo studio dei problemi della popolazione, raccoglie nel 1928 ampio sostegno, non ultimo finanziario, e può così promuovere ricerche e convegni. Negli stessi anni Gini sistematizza i fondamenti epistemologici della sua teoria ciclico-demografica.
Propone però anche una visione "neo-organicista" delle scienze sociali, che stabilisce non tanto un'analogia fra nazioni e organismi biologici, quanto un'identità: le popolazioni nascono, crescono e muoiono "naturalmente". Stante la sua centralità nel campo degli studi sulla popolazione, il peso in alcune istituzioni del regime e il ruolo di interlocutore del duce, il fatalismo naturalistico di questa proposta teorica espone Gini all'isolamento scientifico e non manca di sollevare qualche perplessità nelle gerarchie. Per quanto si sforzi di operare svariati accomodamenti alla diagnosi dell'inesorabile declino della "razza bianca", plaudendo all'efficacia delle politiche pronataliste, o celebrando l'autoritarismo fascista, all'inizio degli anni trenta la parabola di Gini raggiunge il proprio culmine. Per Cassata lo stesso intreccio di scienza e politica che ne aveva favorito l'ascesa, porta Gini a esporsi eccessivamente, quasi a pretendere una direzione scientifica alla politica di regime. Nel 1932 si dimette dalla presidenza dell'Istat e negli anni successivi, nonostante la laurea a Harvard e numerosi riconoscimenti, la sua preminenza viene intaccata. Nelle scienze della popolazione italiane si intensifica il dibattito e fra 1938 e 1939 si arriva alla formazione di due associazioni disciplinari di statistici. Anche nella legittimazione delle politiche fasciste il ruolo delle sue teorie e formulazioni è assunto da altri indirizzi: tocca al suo rivale Livi accompagnare la svolta verso provvedimenti pronatalisti ispirati a quelli nazisti e ad altri ancora disputarsi la primazia di teorici del razzismo di stato. Gini conserva ancora spazi, ad esempio nella promozione tecnocratica del "nuovo ordine europeo" nazista, ma ormai è una figura fra le altre, anche sui suoi terreni specifici.
Nel dopoguerra, nonostante mantenga un certo potere accademico, il nuovo quadro democratico e l'importazione delle scienze sociali statunitensi rendono residuale la figura di Gini. Minacciato da un procedimento di epurazione, come molti altri serba la cattedra e l'onore. È come se la repubblica riconoscesse i fondamenti "professionali" e politicamente "neutri" dell'operato di Gini e di molti altri membri di quella che Cassata denomina, sulla scorta di esempi tedeschi, l'"élite tecnica" del regime fascista. Eppure, abbandonate le imbarazzanti questioni demografiche, nel darsi alla sociologia Gini incarna esemplarmente una continuità che è anche politica con le scienze sociali del ventennio fascista, evidente nella persistenza di premesse razziste.
Michele Nani
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