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«Le due donne di questa storia sono due povere donne. Portano con sé, sulle proprie spalle, la lunga teoria dei discorsi e dei giorni vissuti in comune. Contiguità, osservazione reciproca. Si sono gettate l’una contro l’altra senza risparmio d’energia. Hanno esasperato gli attriti. Con serietà hanno compiuto gli sforzi che l’una esigeva dall’altra. Con impegno e a lungo si sono sfregate tra di loro – legni che si provino in ostinato strofinìo a dare fuoco – senza sapere dove stavano andando. Sempre in tensione, senza cedimenti. Anche noi, a tener dietro alla loro estate, alle minuzie del loro accanimento, ce l’abbiamo messa tutta. Anche noi, senza saperne il perché». – M. G.
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Questo libro ha il pregio della chiarezza: fin dalla prima pagina è palese che l’autrice sta scrivendo per sé, che sta compiendo un lavoro su di sé in cui il lettore non è spettatore ma estraneo, quasi indesiderato. Probabilmente l’autrice ha voluto spendere diversamente i suoi danari altrimenti destinati allo psicanalista pubblicando questo scritto. Il problema non è la scrittura barocca o il fatto che possa essere noiosa, perché si può essere barocchi ma in funzione della narrazione (es. Bufalino, Consolo) e la noia è questione troppo personale e insindacabile. No, il problema è che qui si tratta di una scrittura, ancorché assai ricercata, oltremodo ridondante, eccessivamente autoreferenziale, troppo noncurante del lettore. Per carità, siamo di fronte a una scrittrice indubbiamente dotata ed erudita, ma, come diceva Camus a proposito dei romanzi di Sartre, proprio per questo «si legge il prezzo del biglietto», calcando forse un po’ la mano col lettore che può comprensibilmente rimanere infastidito.
La maestria della scrittura di una raffinatissima, quanto appartata scrittrice, mi colpisce non per il lusso della sua prosa, quanto per la sua mancanza, non per l'esigenza della scrittura quanto per l'apollinea lontananza del suo sguardo, altero ma mai distratto. Un capolavoro degno della figlia del più grande architetto milanese del '900, Ignazio Gardella.
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