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Anno edizione: 2000
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(recensione pubblicata per l'edizione del 1985)
recensione di Pagano, M., L'Indice 1985, n. 9
Diverse strade della cultura contemporanea possono condurre - o ricondurre - nelle vicinanze di Martin Buber. Il tema dell'alterità accomuna senza dubbio il suo pensiero con quello di Lévinas ma anche, e più profondamente, con quello di Rosenzweig, che con lui progettò e inizio la traduzione tedesca della bibbia, che Buber proseguì poi da solo dopo la morte dell'amico. Ancora molti fili, meno evidenti ma non meno significativi, collegano l'opera di Buber con la civiltà ebraica e in genere con il pensiero del novecento; ma ciò che su questo sfondo emerge è soprattutto l'originalità del suo contributo, che sbocca in una articolata metafisica dell'alterità e in una vasta serie di ricerche sulla tradizione ebraica, dalla bibbia alla cabbala al chassidismo. I due interessi, per la filosofia e per l'ebraismo, sono sempre compresenti in Buber, e questo intreccio si presenta anche ne "La fede dei profeti", che pure è un testo dedicato specificamente all'esegesi: da una parte vi è l'impostazione dialogica, che è in lui l'espressione filosofica di una profonda esperienza di vita, cosicché del tutto naturalmente diviene il principio-guida della sua interpretazione della bibbia; dall'altra sta la conoscenza profonda e quasi interna del testo.
La grande contrapposizione che orienta tutto il pensiero di Buber, tra il rapporto cosale Io-Esso e la relazione personale Io-Tu, guida anche la sua lettura della bibbia, che è interpretata complessivamente come storia del dialogo tra Dio e l'uomo. Nella bibbia Buber non legge una storia previamente ridotta al solo dato umano, n‚ una storia "mitica" che confonde i confini tra uomini e dei e neppure ancora, in senso barthiano, la storia di un'iniziativa che proviene unicamente dal "totalmente altro", ma la storia di un rapporto dialogico; così il problema centrale per la fede biblica, quello della verità e della riuscita del rapporto uomo-Dio, è sempre aperto e in gioco nella sua ricostruzione; al tempo stesso l'analisi lo individua ogni volta in modo concreto, in cui la domanda divina pone un singolo o un gruppo di fronte a un'alternativa precisa. La bibbia non offre mai una teoria generale sulla storia (come ha preteso di dare l'apocalittica), ma un susseguirsi di esperienze concretamente vissute. La figura tipo dell'uomo che accoglie il messaggio e lo comunica ad altri, è il profeta. Tuttavia i profeti storici non sono i creatori della fede biblica, ma riprendono e arricchiscono un cammino iniziato molto prima di loro; Buber lo ripercorre a ritroso, risalendo alle sue testimonianze più antiche, quindi ridiscende ad analizzare le figure storicamente più definite, da Amos fino al Deutero-Isaia: e qui mostra come ogni figura sia calata a tutto tondo nella storia sociale e politica della Palestina, e insieme come da una tappa all'altra l'esperienza di fede si vada arricchendo e approfondendo fino all'ultima figura, quella del servo sofferente, in cui il messaggio profetico si fa attesa messianica, senza mai diventare predizione astratta del futuro, ma restando rigorosamente annuncio di un'alternativa per l'uomo: il messia di Buber "non passa al di là, dalla parte di Dio, egli rimane davanti al suo volto, in un dialogo che non può essere eliminato" (p. 153).
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