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Al commento già inviato, vorrei aggiungere due parole più tecniche su alcune delle considerazioni di Panebarco su alcune tipologie di terapie destinate a chi è divenuto tossicodipendente dall’eroina. Certo, non è questa la sede per sviscerare per intero quest’argomento, ma ritengo importante fare alcune precisazioni, dal momento che alcune delle affermazioni di Panebarco lanciate così crudamente e senza una contestualizzazione rischiano di ingenerare dei fraintendimenti, lasciando spazio a pericolose generalizzazioni. Ma vediamo le sue stesse parole: Quella del metadone è una never ending story… Mi sono chiesto, com’è possibile che nessuno sapesse, che nessuno capisse. Non un solo politico, non un solo amministratore? Cos’era? Cinismo di gente che probabilmente aveva tutto l’interesse a mantenere una schiera di tossici, assuefatta e narcotizzata, nella maniera più completa? Miliardi che correvano allegramente tra le casse dello Stato e quelle delle case farmaceutiche produttrici di quella sostanza pericolosa? (p.26) (…) Per ottenerlo [il metadone] bastava presentarsi ai centri di accoglienza delle USL, fare un po’ di scena, “Non ce la faccio più di ‘sta vita, voglio smettere di bucare” e il gioco era fatto,si otteneva un trattamento “a scalare” che non scalava mai o che, appena finiva, a richiesta poteva subito ricominciare, e scalare dopo scalare passavano i mesi e gli anni, senza alcun risultato se non l’assuefazione. (p.27) Le affermazioni di Panebarco, originate da una dolorosa esperienza personale, vanno innanzitutto contestualizzate. Le esperienze di disintossicazione a cui egli fa riferimento sono probabilmente le prime che furono messe in atto in Italia da medici volenterosi e da servizi che, a cavallo tra gli anni settanta e ottanta, sostanzialmente brancolavano nel buio e ancora non sapevano bene cosa si potesse fare, cosa potesse veramente servire. Allora, lo ricordo bene anch’io, si riteneva che il metad
1. - Il bel libro di Panebarco, che Stampa Alternativa-Nuovi Equilibri ha di recente portato alla stampe, è di grande interesse sia per il suo carattere autobiografico, sia per il suo valore di documento d’epoca e di celebrazione/rievocazione di un’intera generazione che, in gran parte, si è persa dietro un sogno: una realtà che in parte, con vertici d’osservazione diversi, è stata già esplorata da altri autori, anche loro protagonisti di quella generazione tra i quali si possono menzionare il volume di Valcarenghi (cfr. A. Valcarenghi, Underground: a pugno chiuso!, Arcana Editrice, Milano, 1973 dove vengono minuziosamente raccontati gli eventi delle diverse edizioni dei Re Nudo Pop Festival e che dunque rievoca l’atmosfera della contestazione dei primi anni Settanta) , nonché le numerose opere di Matteo Guarnaccia, tra le quali si può ricordare qui il volume Underground Italiana. Interviste ai beautiful loosers, (Malatempora, Roma, 2000), per la sua maggiore pertinenza alle vicende narrate da Panebarco, ma che, come il libro di Valcarenghi, si ferma ai primi anni Settanta. 2. - Dal punto di vista del contenuto, si tratta di una lunga, ininterrotta, narrazione autobiografica: è lo stesso Bruno Panebarco che ci racconta in prima persona gli eventi in cui si è coinvolto nel corso del tempo (a partire dal 1974 circa, sino ai primi anni Novanta) quando - idealmente - si conclude il suo percorso, con il buon esito di una travagliata e faticosa riabilitazione all'interno di una Comunità per Tossicodipendenti, e ha inizio, a pieno titolo, una fase di ricostruzione esistenziale. Si consumano, in questa storia fatta non solo di episodi incalzanti e di derive ripetitive ma anche di esperienze arricchenti e profondamente innovative/creative, gli anni giovanili della voce narrante che rende testimonianza per tutti coloro, uomini e donne, che gli sono stati vicini, sia i "sommersi" che i "salvati". Da questo punto di vista, il lungo racconto è a tutti gli effetti, come recita il sottotitolo, "roma
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