Firenze, 15 agosto 1836. È il giorno della festa dell'Assunzione della Vergine, in cui gli artisti fiorentini del medioevo facevano partecipe la cittadinanza delle loro creazioni. Riallacciandosi a quella tradizione, la scultrice Félicie de Fauveau apre al pubblico il suo atelier, ornato per l'occasione di stoffe preziose e mobili antichi. Ad ammirare il suo Monumento a Dante ‒ un'edicola dorata che incornicia un bassorilievo rappresentante Paolo e Francesca interviene una folla delle più eterogenee: Carolina Murat, la sorella di Napoleone, disinvoltamente seduta per terra, conversa con la legittimista contessa di La Rochejaquelain, mentre affluiscono da ogni parte i più autentici intenditori, cioè gli stuccatori di Palazzo Pitti e i mosaisti dell'Opificio delle pietre dure. È un momento che riassume bene la carriera e lo stile di vita di Félicie de Fauveau (1801-1886): scultrice considerata geniale dai suoi contemporanei, innamorata dell'arte del medioevo e del primo Rinascimento, fedele agli ideali legittimisti della sua famiglia al punto di abbandonare la Francia nel 1831 per installarsi a Firenze e continuare a praticarvi la propria arte, avendo come committenti soprattutto il fior fiore dell'aristocrazia francese e russa. Il taglio di questa monografia non è essenzialmente biografico. Quel che sta a cuore a Silvia Mascalchi non è tanto offrirci il ritratto pittoresco di un'artista che, con i suoi capelli corti alla Giovanna d'Arco e l'orgoglioso rifiuto del matrimonio, suscitò la curiosità (non sempre benevola) dei contemporanei, quanto piuttosto mettere a fuoco la peculiarità del suo rapporto con la tradizione medievale, nutrito di una conoscenza diretta di opere allora ancora ben poco conosciute. E tuttavia, benché il centro del libro siano la poetica e la cultura di Félicie de Fauveau, è l'insieme della sua personalità a imprimersi nella nostra memoria a lettura finita. Aristocratica e legittimista, di un cattolicesimo fervente e quasi mistico, Félicie de Fauveau rappresenta un esempio così solido e coerente di battagliera autonomia, da imporsi all'ammirazione di sostenitrici dell'emancipazione femminile come Hortense Allart o Elisabeth Barrett Browning. La sua dedizione all'arte, sin dalla prima giovinezza, è davvero totale, e la conduce ad affiancare allo studio degli antichi maestri il perfezionamento di complesse tecniche artigiane che le permettano di estendere il suo lavoro alla creazione di mobili, cornici e oggetti d'oreficeria. Eppure non esita ad abbandonare tutto e a mettere a repentaglio la propria vita per seguire in Vandea la duchessa di Berry che, indossando dei leggiadri pettorali d'oro da lei scolpiti, cavalca alla testa degli insorti contro il governo del "re cittadino". Dalle pagine di Silvia Mascalchi, la singolare avventura artistica ed esistenziale di Félicie de Fauveau emerge perfettamente delineata; il magistrale saggio di Marco Lombardi che apre il volume ne evoca invece l'influenza su protagonisti del mondo letterario come Stendhal, Dumas e Mérimée. Il risultato è un quadro d'insieme efficace e completo, che ci restituisce una figura di grande originalità ingiustamente dimenticata. Mariolina Bertini
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