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"L'idea della casa-tipo sconcerta, spaventa, suscita i commenti più grotteschi e più assurdi: si crede che fare delle case-tipo, delle case in serie, significhi meccanizzarle, costruire edifici che somiglino ai piroscafi, agli aeroplani. Deplorevole equivoco! Non si è mai pensato di ispirarsi per l'architettura alla macchina: l'architettura deve aderire alle nuove necessità, come le macchine moderne nascono da nuove necessità e si perfezionano coll'aumentare di quelle. La casa avrà una sua nuova estetica, come l'aeroplano ha una sua estetica, ma la casa non avrà quella dell'aeroplano".
È il 1926 e questa coraggiosa dichiarazione, pubblicata sul numero di dicembre di "La Rassegna Italiana", porta un titolo semplice e nobile: Architettura. Gli autori del testo sono sette giovani architetti, raccolti sotto la sigla del Gruppo 7: Ubaldo Castagnoli, Luigi Figini, Guido Frette, Sebastiano Larco, Gino Pollini, Carlo Enrico Rava e Giuseppe Terragni. Il loro obiettivo è redigere un manifesto per l'esprit nouveau dell'architettura italiana.
Tre anni dopo, alla IV Esposizione internazionale d'arte decorativa di Monza, Luigi Figini (Milano 1903-84) e Gino Pollini (Rovereto 1903 - Milano 1991) realizzano, nel parco della Villa Reale, il progetto della "Casa elettrica" patrocinata dalla ditta Edison. La ricerca di una nuova estetica dell'abitare, contro la retorica macchinista, si concretizza così in una straordinaria opera di architettura moderna, durata qualche settimana.
Rigorosamente "razionale", con finestre a nastro e tetto piano, questa "casa civile di campagna" presenta un elemento che caratterizza i migliori esiti del lungo sodalizio professionale avviato in questi anni dai due laureati al Politecnico di Milano: l'ampia vetrata-serra che definisce la facciata, si proietta nel soggiorno e, al tempo stesso, trascina all'esterno i luoghi del vivere quotidiano. La "Casa elettrica", fin dal titolo, è dunque una geniale invenzione volta a risolvere l'ossimoro "casa-macchina" attraverso l'intervento della natura.
Ed è sul filo del rapporto tra architettura e paesaggio che Sara Protasoni legge l'opera di Figini e Pollini, in questo piccolo ma ricchissimo libro, a testimonianza che la qualità di una ricerca scientifica non si misura con il numero delle pagine occupate. Una citazione merita anche il contenitore, ovvero la collana "La Scuola di Milano", pubblicata con l'ambizioso intento di rinnovare la memoria di quella grande stagione dell'architettura milanese, protagonista della cultura europea tra gli anni trenta e gli anni sessanta, che ha visto attivi maestri indiscussi quali Albini, Gardella, Figini e Pollini, il gruppo bbpr.
Milano, appunto, è il palcoscenico di quelle vicende e il Palazzo dell'Arte è uno degli sfondi scenici più ricorrenti. Qui, nel 1933, in occasione della V Triennale, Figini e Pollini espongono nel Parco Sempione la "Villa-studio per un artista": introversa nei suoi spazi intimi e recintati, la casa nega l'impulsività meccanica dell'esterno in favore di una più raffinata atmosfera mediterranea, celata dietro il muro, volto ad assicurare protezione e, allo stesso tempo, offrire come scrive Protasoni "precise inquadrature, rivolte verso la vegetazione o verso il cielo".
Proseguendo in questa direzione, l'autrice dimostra, in una narrazione dal ritmo teso e avvincente, priva dei molesti tecnicismi che allontanano i lettori dai racconti di architettura, che l'impulsività della "Casa elettrica" e la poetica diaframmata della "Villa-studio" si pongono, nei lavori successivi di Figini e Pollini, quali motivi del progettare spazi in relazione ai luoghi che li ospitano.
In questo funambolico esercizio trova posto, nel 1935, la villa realizzata per se stesso da Luigi Figini in un quartiere della periferia milanese: opera emblematica di un'"architettura razionale" pronta ad accogliere la luce poetica della flora e persino della fauna urbana, come testimoniano le inedite fotografie dell'abitante-architetto. Oltre il prisma nudo appoggiato su pilotis e segnato orizzontalmente dalle finestre a nastro, l'ambiente domestico si apre al cielo con il terrazzo-giardino, disegnato per temprare il corpo e la mente, che intimizza il carattere di quella "natura diaframmata" di cui Figini scrive su L'elemento verde e l'abitazione, profetico manualetto pubblicato nel 1950 dall'Editoriale Domus.
"Natura diaframmata", celata e riscoperta, che orienta i tracciati di fondazione sul terreno irregolare dell'Asilo nido Olivetti a Ivrea (1939-41). Il rapporto con Adriano Olivetti accresce la fortuna critica di Figini e Pollini. Dopo l'ampliamento della fabbrica (1939-40), simbolo della "comunità" olivettiana, gli architetti costruiscono la fascia dei servizi sociali (1954-57), opera dotata di una carica evocativa che vede il paesaggio trasfigurarsi nelle strutture portanti, formando ramificazioni immobili in calcestruzzo a vista.
Molto altro si dovrebbe dire della chiave di lettura che Protasoni offre all'interpretazione storica dell'opera milanese di Figini e Pollini, fino all'espace indicible della chiesa della Madonna dei Poveri (1951-54), in cui le forme geometriche dell'esagono e del quadrato generano contrasti spaziali profondi tra le ombre dello spazio sacro e la luce violenta che irrompe nel presbiterio.
In conclusione, ciò che emerge dalla lettura di questo libro è che due grandi maestri come Figini e Pollini, in continuità con la tradizione milanese del costruire, hanno usato l'elemento verde come materiale per rendere eloquente la bellezza dell'architettura. "Dio è anche in un filo d'erba", diceva Figini.
Federico Bucci
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