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Ci è capitato per casualità (ma niente accade per caso, per chi scrive è una profonda convinzione) di leggere questo libro che non è recentissimo (ma l’età di un libro non è un elemento probante, Dante docet) e ne siamo rimaste attratte come l’ape dalla corolla di un fiore. E’ una raccolta di racconti di una signora, Antonella Cristofani, che vive nella Capitale, è laureata in pedagogia, ha lavorato come addetta culturale presso il Comune di Roma e aveva già pubblicato, presso la stessa casa editrice, un’altra raccolta, “Uscita che fu di lì”. “…Le storie si svolgono una dopo l’altra, apparentemente autonome, tutte divertenti. Si compone così un quadro di un’umanità senza eroi ma tutta eroica nella disperata lotta per la sopravvivenza. Non si tratta di una messa in scena a lieto fine, ché molte sono le sconfitte e i compromessi fino alla menzogna a fin di bene…”: queste parole, tratte dall’introduzione di Matilde De Pasquale, descrivono in sintesi, secondo noi perfettamente, questa raccolta. E ancora “…la figlia dell’oca bianca è una bella metafora per chi scrive, chi è stato dotato dalla natura di un dono che non può tenere per sé ma condividere con chi questo dono non ce l’ha. La scrittura quindi…strumento per vivere meglio…”: quest’ultima affermazione ci trova perfettamente consenzienti, ci sentiamo molto vicine alla Cristofani (molto figlie “dell’oca bianca”) che ha saputo descrivere, in questi suoi tredici racconti (non sappiamo se il numero sia casualmente o volutamente anti-superstizione) tanti lati di sé che, pur nel sacrificio della propria individualità, serpeggiano lungo tutta la raccolta. E sono aspetti che potrebbero essere anche i nostri, in cui è facile, quasi inevitabile, riconoscersi, identificarsi. Due racconti tra tutti meritano, per la sottoscritta, il palmares: “Il negozio dei mariti” e “Volevo essere un’attrice da musical”, quest’ultimo scritto appositamente per l’attrice Anna Malvica; tutti sono comunque venati da un delicato umorismo surreale che lascia spiazzati, sbigottiti, talvolta col
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