Pedro Almodóvar Caballero è un sceneggiatore, regista e attore spagnolo. «Madame Bovary c'est moi» diceva Flaubert, e lo stesso dice Almodovar di tutti i suoi personaggi, uomini o donne, etero, omo o bisex che siano. Nato e cresciuto nella Mancha, la provincia spagnola più povera, a soli diciassette anni si trasferisce a Madrid, dove trova lavoro nella compagnia dei telefoni, ma soprattutto diventa interprete, cantore e star della movida della Spagna neo-liberata dalla dittatura franchista con il suo gruppo punk-rock en travesti (Almodóvar & McNanara) e i suoi «scandalosi» undici corti, realizzati fra il 1974 e il 1978, che proietta in casa per animare serate fra amici e conoscenti. Il mondo caotico e confuso del suo primo cinema esplode improvviso nel 1980 con Pepi, Luci, Bom e le altre ragazze del mucchio (girato in 16mm e poi gonfiato a 35), ritratto disinibito di due ragazze che cercano la strada verso la maturità rifiutando i vecchi valori (come la verginità che Pepi/C. Maura vorrebbe vendere per 60.000 pesetas), Labirinto di passioni (1982), intricata storia con al centro un omosessuale e una ninfomane che poi scopriranno di amarsi fin da quando erano bambini, e l'irrisolto e caotico L'indiscreto fascino del peccato (1983), intricata storia del folle amore di una madre superiora per una cantante. Mordaci e taglienti nel loro sberleffo antiborghese, questi film denotano subito le caratteristiche del primo cinema di A.: un'ironia goliardica, un'attenzione particolare ai personaggi femminili (perché, come dice il regista, «la sensibilità femminile è sicuramente più autentica e le donne nascondono un maggior mistero»), e uno sguardo amoralistico non solo sull'omosessualità ma anche sulle devianze (come il rapporto sadomaso fra Bom e Luci). Seppur graffiante e anti-istituzionale, il suo cinema non avrebbe però mai conquistato le platee mondiali se con i tre film successivi, molto diversi l'uno dall'altro, A. non avesse mostrato di saper uscire dall'universo giovanilistico e dallo sberleffo scandalistico, spesso fine a sé stesso. Il primo dei tre, Che ho fatto io per meritare questo? (1984), è un'ironica commedia centrata sulle disavventure quotidiane di Gloria (ancora C. Maura), una moglie e madre di mezza età, frustrata dalle ristrettezze economiche, dal tanto lavoro (per arrotondare le entrate familiari fa la domestica a ore) e da un marito dittatoriale e per nulla amorevole che finirà per uccidere accidentalmente. Le molte ossimoriche figure del film diventano il segno della forzata convivenza del (troppo) nuovo con il vecchio nella Spagna dell'epoca, e forniscono il tono oppositivo di molte delle sue opere successive, quasi sempre in equilibrio variabile fra commedia e melodramma. Molto diverso il successivo Matador (1986), intenso melodramma sul tema dell'unione inscindibile di Eros e Thanatos, che narra di un «incontro del destino» fra un torero che uccide le donne con cui fa l'amore (tranne la fidanzata) e un'avvocatessa, sua ammiratrice, che «mata» i suoi amanti occasionali nel momento dell'orgasmo. L'amour fou, la passione d'amore folle che ottunde la ragione, viene riproposta, in versione omosessuale, anche nel successivo La legge del desiderio (1987), storia del giovane Antonio che riesce a conquistare il cuore del regista Pablo Quintero solo dopo aver dimostrato che la sua passione è tanto forte da spingerlo a uccidere un rivale e a sacrificare sé stesso. Melodramma intenso, è però alleggerito da tratti di commedia nella figura di Tina (nuovamente C. Maura, musa insostituibile di tutti i suoi primi film), personaggio bifronte, ricco di pathos ma al contempo di carica autoironica, che è il prototipo dei contraddittori personaggi di Tutto su mia madre (1999): sorella di Pablo, non disdegna la cocaina né le esperienze saffiche e in gioventù era anch'ella un ragazzo, amante prima di un prete e poi del padre, dal quale era stata in seguito abbandonata per un'altra donna. Ciò che colpisce è che A., con la sua totale mancanza di pregiudizi, da un simile triste e degenerato background riesca poi a trarre una donna ricca di humour, dolcissima, che si comporta da madre amorevolissima con la figlia della sua ultima amante lesbica. La vera consacrazione arriva comunque con Donne sull'orlo di una crisi di nervi (1988, premiato con un David di Donatello), vera e propria screwball comedy, ricca di personaggi eccentrici e di colpi di scena che porta alla massima evidenza il gusto, tipicamente postmodernista, di A. per la commistione dei generi, la citazione cinefila e il riutilizzo intratestuale di sequenze del cinema del passato. Sempre alla ricerca di personaggi che contraddicano gli antichi cliché, in Légami! (1990) mette in scena uno psicopatico appena uscito da un ospedale psichiatrico che, intenzionato a diventare «normale» tramite il matrimonio, rapisce una porno-star di cui è innamorato e di cui, gradatamente, riesce a conquistare l'amore con la dedizione e la dolcezza. Partito dalla più sfacciata e spregiudicata giustificazione del sesso anche fine a sé stesso, il cinema di A. si sposta quindi sempre più verso i sentimenti e verso il riscontro della «normalità e della bontà» che scaturiscono dalla (presunta) mostruosità. Sentimenti che trionfano anche nel finale di Tacchi a spillo (1991, premiato con un César), sorta di poliziesco con omicidi, travestimenti e misteri che è in effetti un pretesto per affrontare (in termini e toni spesso melodrammatici) il delicato tema del rapporto madre-figlia (fin lì ironizzato in figure di madri nevrotizzate e ossessive), mettendo in scena una madre distratta e assai poco attenta alle necessità affettive della figlia, che però si riscatta in punto di morte. Ancora commistione di generi con sentimenti, commedia, mistero e dramma in Kika (1993), che è anche una denuncia dell'arroganza e dell'invadenza dei mass-media (tema già più volte toccato, ma mai sviluppato fino in fondo) e in particolare della «tv spazzatura», sempre alla ricerca ossessiva di fatti di cronaca cruenti e di squallidi scoop. La donna, i suoi sentimenti d'amore, le sue angosce e i suoi dolori, ma anche la sua grande capacità di sopportazione e di rinascita, sono al centro della parabola di Leo, scrittrice di successo di fumettoni amorosi sotto pseudonimo, che nella realtà deve fronteggiare l'assenza e l'indifferenza del marito e il suo tradimento con la sua migliore amica in Il fiore del mio segreto (1995). Dopo Carne tremula (1997), intricata vicenda con cinque personaggi che mischia amore e misteri, passioni travolgenti e tradimenti, arriva il trionfo internazionale con Tutto su mia madre (1999) che vince al Festival di Cannes e ottiene l'Oscar come miglior film straniero. Complessa e toccante, giocata sulle citazioni intertestuali teatrali e cinematografiche (Un tram che si chiama desiderio e Eva contro Eva), la vicenda s'incentra sulla figura di Manuela, madre disperata che da Barcellona torna a Madrid alla ricerca del padre del figlio Esteban, morto in un incidente. Il padre, Esteban anche lui, vive ora prostituendosi en travesti con il nome di Lola e, prima di riuscire a incontrarlo, Manuela dovrà occuparsi di una giovane suora che lui/lei ha messo incinta e che muore partorendo un altro piccolo Esteban. Film sulla elaborazione del più doloroso dei lutti, Tutto su mia madre, come nella migliore tradizione shakespeariana, è intessuto e alleggerito da momenti comici, centrati sulla figura di Agrado, transex di grande cuore, come nella migliore tradizione dell'autore. Il successo si ripete poi nel 2002 con Parla con lei, ennesimo film di grandi sentimenti e di personaggi-limite, che per la loro grande capacità di amare, e solo per questo, possono arrivare a compiere (mostruosi) errori, a cui pone rimedio una benevola provvidenza (forse divina). Il successivo La mala educación (2004), apertamente autobiografico nel rievocare un'infanzia da collegiale nella Spagna franchista, riceve accoglienze più controverse. Ma anche chi lo accusa di cedimenti al manierismo, non può non riconoscergli un gusto irriverente e sfacciatamente mélo e un approccio di grande leggerezza al tema difficile dell'omosessualità. Volver - Tornare (2006), tragicommedia popolare ambientata in un paese della Mancia, segna un ritorno a una cinematografia più intimista e a un approccio gioioso e passionale con la morte e con l'universo femminile. Il film vince il premio per la migliore sceneggiatura al Festival di Cannes.
Tra i titoli più recenti, Gli amanti passeggeri (Los amantes pasajeros) (2013),
Julieta (2016), Dolor y gloria (2019), Madres paralelas (2021), La stanza accanto (The Room Next Door) (2024) con cui ha vinto il Leone d'oro al miglior film all'81ª Mostra internazionale d'arte cinematografica di Venezia.